San Patrignano fa 40 anni. E ha aiutato 26mila persone a uscire dal tunnel

Un libro raccoglie le storie di 15 ragazzi della comunità fondata da Vincenzo Muccioli. E conferma l’allarme anche sulle droghe "leggere"

San Patrignano fa 40 anni. E ha aiutato 26mila persone a uscire dal tunnel

Esce il 22 marzo il libro della giornalista e scrittrice Angela Iantosca “Una sottile linea bianca – dalle piazze di spaccio alla comunità di San Patrignano” (Giulio Perrone Editore; prefazione di Antonio Nicaso), che racconta 15 storie di ragazzi che hanno vissuto la comunità, le piazze di spaccio e quel mondo che non si vuole vedere.

Ha compiuto quarant’anni San Patrignano, la comunità fondata da Vincenzo Muccioli e che, dal 1978 ad oggi, ha ospitato gratuitamente 26mila ragazzi tossicodipendenti. Quarant'anni durante i quali, oltre a trattare la dipendenza dalla droga, ha cominciato ad occuparsi di alcolismo, ludopatia e di disturbi dell'alimentazione. Quando anni fa ho varcato il cancello della comunità su quella collina a pochi passi dalla Rimini del divertimento, ho sentito la necessità di far conoscere quel mondo a cui non si guarda mai, quello che non compare nelle inchieste sul traffico internazionale di stupefacenti, quello delle vittime. Ma anche il mondo delle piazze di spaccio, più o meno visibili, nelle quali si incontrano diverse disperazioni.

È nato così il mio nuovo libro che racconta quella sottile linea bianca che rimanda non solo alla striscia di cocaina, ma anche al labile confine che separa le nostre vite perfette da quelle in crisi dei ragazzi che sono caduti nel baratro della tossicodipendenza. Vite spesso simili alle nostre, come si intuisce dalle vicende narrate da 15 ragazzi che hanno vissuto San Patrignano. Madri, padri, adolescenti, giovani e meno giovani, figli e fratelli attraverso le cui parole siamo costretti a fare i conti con delle verità che tendiamo a sottovalutare: l’abbassamento dell’età dell’utenza, l’uso di più sostanze contemporaneamente, la ricerca dello sballo nelle Nuove Sostanze Psicoattive, un aumento delle donne che abusano di droghe.

Secondo l'Osservatorio San Patrignano, nel 2016 la cocaina risulta la sostanza più utilizzata (90,3% neoentrati), segue la cannabis (88,8%), poi l'eroina (59,6%) e l'ecstasy (54,3%), anche se la dipendenza primaria nel 40% dei casi è da eroina (sostanza che sta cominciando a tornare). Non solo: emerge che sempre di più chi si droga non usa le siringhe, se non dopo alcuni anni, una scelta che convince il drogato di non essere un tossicodipendente, come racconta Andrea di Pomezia, una vita normale, un matrimonio, una azienda di famiglia ben avviata e un amore segreto per la cocaina coltivato per anni, ma considerato non grave: “Io ero cocainomane e pensavo che un tossicodipendente è chi fa uso di eroina e chi si buca”. Altro aspetto che si evidenzia è che il primo contatto con le sostanze, che avviene in media intorno ai 14 anni, si ha con hashish e marijuana, cioè con le canne, un uso che non deve essere trascurato come conferma la dottoressa Davanzo direttore del Direttore struttura complessa Centro Antiveleni Niguarda di Milano: “Studi recenti hanno confermato che la cannabis se utilizzata in età molto giovane è causa di deficit di attenzione, di concentrazione, di memoria, di apprendimento e di riflessi. Ed inoltre è una via di passaggio verso sostanze come cocaina, eroina e amfetamine”.

Sono tante le vite incontrate in questo percorso, vite che raccontano l'abisso e la voglia di rinascere, come mi dice chi è finito talmente in basso da drogarsi mentre aspettava il primo figlio, chi ha derubato i propri genitori, chi si è prostituito in cambio di una dose, chi ha subìto violenza pensando fosse amore, chi ha dormito per mesi in un treno, come Giuseppe di Perugia, cercando la morte, prima di risalire, compiendo un percorso lungo e doloroso dentro se stesso per arrivare a comprendere le ragioni della droga.

Ragioni che il cammino in comunità aiuta a trovare nel corso degli anni, ragioni che spesso sono da rintracciare in quel vuoto con il quale quotidianamente tutti facciamo i conti. Un vuoto dettato da abbandoni, tradimenti, violenze, perdite, incomprensioni, fragilità. Un vuoto che ci rende umani e simili e al quale ognuno di noi reagisce con varie forme di dipendenza dal diverso impatto sociale.

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