La mafia? Non ha nulla di cristiano. È ateismo puro. C’è voluto il sangue di un umile sacerdote di periferia per scrivere una verità che alle cosche fa male più di mille processi: l’immagine degli uomini d’onore, devoti alla Vergine e ai santi, con la pistola nella cìntola e la Bibbia sul comodino anche durante la latitanza, va in frantumi. Per sempre. A ridurla in pezzi, un prete,Pino Puglisi.Ieri mattina,ricevendo il Prefetto per la Congregazione delle cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, papa Benedetto XVI ha dato il via libera al decreto sul martirio del parroco palermitano in vista della beatificazione, ucciso «in odio alla fede» 19 anni fa, poco distante dalla sua parrocchia di san Gaetano, al Brancaccio.
«Il suo martirio - ha detto l’arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo- mette in luce le tenebre del mondo della mafia e dell’illegalità, un mondo lontano dal Vangelo». La storia che svela il grande imbroglio inizia il 15 settembre del 1993. È sera. Puglisi festeggia il suo compleanno. Spente le 56 candeline sulla torta preparatagli dai volontari del centro «Padre Nostro », poco dopo le 20 saluta e va via. Arrivato sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi, parcheggia la sua Fiat Uno rossa. Scende, si dirige verso il portone d’ingresso. Ha già le chiavi in mano quando un uomo sbucato dal buio gli si para davanti. «Me l’aspettavo», dice il sacerdote abbozzando un sorriso. Poi lo sparo, il silenzio, il sangue. Un vicino di casa, Pippo De Pasquale, lo trova esanime, a terra, con le braccia in croce. Chi ha sparato cerca di depistare le indagini: il borsello del prete, portato via, vuol indurre a pensare ad una rapina. Invece la squadra mobile imbocca da subito la pista giusta. Quella che porta a Salvatore Grigoli. Negli ambienti della mala lo chiamano il «cacciatore», ma non è neanche un picciotto: viene usato da Cosa nostra, che gli commissiona 46 omicidi, con la prospettiva d’una carriera mafiosa che non comincia mai.
Il giorno dopo l’arresto salta il fosso. E come lui altri pentiti vuotano il sacco.Le loro dichiarazioni fanno condannare all’ergastolo i favoreggiatori (il killer se la cava con 16 anni di reclusione) e, soprattutto, i mandanti, Giuseppe e Filippo Graviano, capi della famiglia mafiosa di Brancaccio. Salta fuori pure il nome di Leoluca Bagarella. Fa mettere a verbale il pentito Nino Calvaruso: «Bagarella criticava i Graviano per questo prete nel loro territorio che faceva questi discorsi, che prendeva questi bambini per dire loro di non mettersi coi mafiosi. Quindi i Graviano furono pure costretti a dare una risposta al Bagarella, che loro non si sarebbero fatti mortificare da un prete». Puglisi, dunque, viene condannato a morte semplicemente perché vuol essere, fino in fondo, un prete. Non un eroe, ma un sacerdote.
Ed in questo si radica l’ odium fidei che ne fa un martire. «Puglisi fu ammazzato perché predicando, facendo il suo dovere, riportava la giustizia in un quartiere terra di violenza e ingiustizia », spiega dalla Germania, dove si trova per un pellegrinaggio, il postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo di Catanzaro monsignor Vincenzo Bertolone. «La mafia - aggiunge il Presule - si è costituita nel tempo l’immagine d’una “famiglia” obbediente ai principi cristiani.
Al contrario, essa è un corpo estraneo allo spirito di
Cristo e della Chiesa. E proprio Puglisi, col suo sacrificio, smaschera l’inganno della mafia sedicente portatrice di religiosità». Credevano di averlo ucciso, ma da un seme che è morto stanno maturando migliaia di spighe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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