Schwazer, colpo di scena. "Provette alterate, nel 2016 non fu doping"

Il gip di Bolzano assolve il marciatore: "Fu incastrato". Ricorso al Tas per andare ai Giochi.

Schwazer, colpo di scena. "Provette alterate, nel 2016 non fu doping"

Non è solo una vittoria: è un trionfo, un'impresa da sventolare come una medaglia d'oro. Perché Alex Schwazer non vede soltanto riconoscere dalla giustizia di non essere mai ricaduto nella trappola del doping: vede anche messe nero su bianco, nella sentenza che lo proscioglie dall'accusa di frode sportiva, le ombre cupe che pesano sui grandi signori della atletica mondiale, la Iaaf e il suo braccio antidroga, la Wada.
Sono loro, per il giudice bolzanino Walter Pelino, i colpevoli perfetti del complotto ai danni di Schwazer, realizzato truccando le provette della sua pipì prelevate a Capodanno del 2016. Il giudice indica anche il movente: la testimonianza resa da Schwazer pochi giorni prima nel processo a due medici federali accusati di doping («doping di Stato», lo definisce il giudice): «Colpire Schwazer significava neutralizzare quella pericolosa testimonianza», si legge.
Da anni, il campione altoatesino grida al complotto ai suoi danni. E ieri il giudice scrive che davvero «i complotti talora accadono». Il risultato è che Schwazer esce definitivamente pulito di scena.
E tutto si ritorce contro chi lo ha portato sul banco degli accusati, Wada e Iaaf: contro i vertici dell'atletica mondiale il giudice restituisce gli atti alla Procura della Repubblica perché indaghi su di loro, nell'inchiesta parallela scaturita dalle denunce di Alex. Dettaglio: il doping di Schwazer, se mai fosse avvenuto, sarebbe ormai prescritto; i reati che il giudice attribuisce ai signori del tartan non lo sono, perché la loro «serie impressionante di artifici e dichiarazioni false» è proseguita fino ai nostri giorni.
Per stilare il suo atto d'accusa contro Wada e Iaaf il giudice Walter Pelino attacca frontalmente anche la Procura di Bolzano, che pure aveva chiesto anch'essa l'archiviazione dell'atleta, ma che il giudice accusa di «una certa accondiscendenza» alle tesi della Iaaf: a partire dalla decisione di considerare inutilizzabili le mail pubblicate da un hacker tra il capo dell'antidoping Thomas Capdeville e il legale Ross Wenzel. Queste mail per il giudice provano che l'obiettivo della Iaaf era fin dall'inizio impedire che il laboratorio di Colonia dove erano custodite le provette consegnasse i campioni alla giustizia italiana.
Ma, scrive il giudice, «il diavolo fa le pentole e non i coperchi». Così il complotto si schianta contro quel dettaglio saltato fuori grazie ai Ris di Parma, la concentrazione inverosimile di Dna di Schwazer nella provetta destinata ad incastrarlo: e «l'ipotesi della manipolazione costituisce l'unica spiegazione convincente». Allargando imprevedibilmente il tema del processo, il giudice Pelino mette sotto accusa l'intero sistema che regge l'atletica mondiale: «Questo processo ha dimostrato come Iaaf e Wada non tollerino affatto controlli dall'esterno e anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto di produrre dichiarazioni false e frodi processuali. Il controllore e il controllato finiscono per coincidere», mentre gli atleti «non ricevono alcuna reale garanzia».
É questo, dice il giudice, il sistema che ha cercato di stritolare Schwazer e insieme a lui il suo allenatore, Sandro Donati.


«Finalmente è arrivato il giorno in cui è stata fatta giustizia», dice ieri Schwazer, dopo «quattro anni e mezzo, che non sono stati per niente facili». Mentre la Fidal, la federazione italiana, che all'inizio si era schierata con la Iaaf e poi si era defilata, attraverso il presidente Stefano Mei dice: «Si aprono scenari inaspettati».
Effettivamente.

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