C'è già un confine in questa maggioranza che sta per nascere. Non è ancora di idee o di uomini, di programmi o ministeri. È l'approccio a Draghi. Lo specchio è la fiducia.
Berlusconi e Salvini hanno detto ci siamo senza mettere particolari condizioni. Non chiedono un governo politico. Se stanno in questa impresa è perché forse ne hanno capito lo spirito. L'Italia sta navigando in acque burrascose. Ci si gioca tanto, ci si gioca tutto. Draghi è l'uomo che Mattarella ha scelto per cercare un approdo meno incerto. Il capo dello Stato ha indicato le tappe della sfida: superare la pandemia, spendere bene i fondi del Recovery, disegnare le riforme su fisco, lavoro, burocrazia, welfare, giustizia e scuola che l'Europa si aspetta, ricostruire un Paese perso in un deserto economico e produttivo, immaginare un futuro. È un'impresa ai limiti del possibile. Non sarà affatto facile e le responsabilità che pesano sulle spalle di Draghi, e della sua squadra, sono pesanti. Chi lo appoggia fa una scelta che guarda lontano. Si fida.
Fidarsi non significa lavarsene le mani o non partecipare con idee e lavoro. Non è il momento di mettere limiti. Non è facile per Forza Italia e Lega stare al governo con Cinque Stelle, Pd e Leu. Non hanno la stessa visione su tante, troppe, cose. Quando però dici sì, ti concentri su quei punti dove si può trovare un'intesa. Ci sono valori di fondo su cui ci si può riconoscere. Lo hanno fatto perfino la Dc e il Pci, quando il mondo era diviso in due blocchi quasi inconciliabili. Quello che ci si aspetta dalla «maggioranza Draghi» non è un compromesso storico, ma un patto per salvare l'Italia. È quasi una scelta pre-politica.
Pd e Cinque Stelle faticano a capire l'incrocio storico che stiamo vivendo. Tutti e due pretendono un governo politico. Non uno qualsiasi, ma che non sia una discontinuità rispetto al Conte bis. Il senso del discorso è chiaro. Draghi non è il «governo del presidente». Ci tocca prendere Berlusconi e Salvini, ma in qualche modo come ospiti. L'anima politica è la vecchia sinistra con su disegnate le cinque stelle. Altrimenti, come ha suggerito il vice segretario del Pd Orlando, meglio l'appoggio esterno.
Il timore, a via del Nazareno, è di contaminarsi con Salvini. È un atto di presunzione. È il segno del fallimento politico del Pd che durante la crisi di governo non ha saputo fare altro che impiccarsi al nome di Giuseppe Conte, l'unico leader in cui ormai si riconoscono.
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