Depositate le motivazioni della sentenza con cui il Gup di Ragusa Andrea Reale il 17 ottobre 2016 ha condannato a 30 anni di carcere Veronica Panarello per l’omicidio del figlio Loris Stival, ucciso il 29 novembre del 2014. Ben 190 pagine in cui è racchiusa la storia processuale della donna. Ventinove capitoli che analizzano i capisaldi del processo: dalla sua genesi alle indagini, dalle prime dichiarazioni della donna, alle perizie, compresa quella psichiatrica. Il giudizio è netto: "La condotta processuale della donna è stata deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa, manipolatrice. Va assolutamente confermata e fatta propria in questa sede la definizione laconica del giudice del riesame nella persona dell’imputata: ’Lucidissima assassina". Ancora più duro Reale: "All’esito del processo l’espressione appare persino benevola perchè oltre alla evidenza della piena capacità di intendere e di volere dell’imputata dal momento del fatto, questo giudice ritiene di potere evidenziare la pravità d’animo con la quale la donna, senza alcuna pietà e senza un benchè minimo pentimento, neanche dopo avere commesso il più innaturale dei crimini, ha occultato il cadavere del figlio". Il giudice fin dalle prime battute rende merito al lavoro investigativo e alla presenza sul posto del medico legale Giuseppe Iuvara che con il suo lavoro ha permesso di "avere contezza di circostanze fondamentali per la ricostruzione dell’evento e della causa mortis".
Sin da subito erano evidenti quindi le lesioni sul corpo del povero piccolo. Un bimbo alto un metro e venti circa, dal peso di circa 18-20 chilogrammi, più piccolo rispetto alla sua età: aveva 8 anni, ma ne dimostrava 5 o 6. Ed è dall’autopsia che emergono i dettagli della sua uccisione compresa la piena compatibilità con quelle fascette consegnate da Veronica, che sarebbero state strette attorno al suo collo ed ai polsi. Duro il commento del Gup anche riguardo il tentativo di coinvolgimento effettuato da Veronica ai danni di Andrea Stival, il suocero che a un certo punto chiama in correità, accusandolo materialmente del delitto: nessun elemendo, afferma il giudice, fa dubitare che la donna si trovasse sola in casa quando ha ucciso il bambino. E la chiamata in causa del nonno del piccolo viene definita "un espediente perfido e malvagio, capace di distruggere tutti gli ultimi baluardi affettivi della famiglia Stival, inoculando una dose ulteriormente letale di veleno dentro quel nucleo già profondamente colpito dall’assassinio efferato dei Loris". Il giudice ritiene plausibile che la donna soffra della cosiddetta Sindrome di Medea con la quale "colpisce anche il suocero, oltre che il marito ed il figlio, in una spirale di cieca distruzione della idea di famiglia e dei valori che la stessa incarna". Questa donna avrebbe trasferito nel bambino "le frustrazioni e l’odio patito nella sua famiglia di origine e ha riversato le incomprensioni avute con le proprie inconsistenti figure genitoriali". Insomma, il Gup parla di una spirale e di un "crescendo di inesorabile forza distruttiva, simbolo di oppressione e di morte, di distruzione di parte di sè, del proprio sangue, e, in conclusione, si sè stessa e del suo ruolo di madre e di moglie".
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