Abrignani del Cts: "Non si può essere immuni per sempre dal Covid"

Il professor Sergio Abrignani, componente del Comitato Tecnico Scientifico, fa chiarezza su alcune tematiche legate a Covid e vaccini

Abrignani del Cts: "Non si può essere immuni per sempre dal Covid"

Su Covid e vaccini da sempre esistono pensieri e opinioni contrastanti. Quali di quelli in commercio "funziona" di più? È consigliato farne due diversi per una migliore risposta immunitaria? Soprattutto in questo periodo si dibatte molto sulla scelta di far vaccinare gli adolescenti, per cercare di proteggere anche una fascia di popolazione che fino a qualche tempo fa sembrava immune per natura. Quanto è importante questa scelta e soprattutto quali sono i rischi? A fare chiarezza il professor Sergio Abrignani Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM) “Romeo ed Enrica Invernizzi” di Milano, e componente del Comitato Tecnico Scientifico.

È di questi giorni la notizia di uno studio sugli anticorpi di chi ha avuto il Covid. È vero che si potrebbe diventare immuni per sempre?

“Mi chiedo come si faccia a dirlo, quando c’è una parte di persone che si sono ammalate di coronavirus e successivamente si sono reinfettate nuovamente con le varianti. Questo significa che c’è gente che si è infettata con il ceppo di Wuhan, ma poi è risultata nuovamente positiva per la variante inglese. Da questo si evince che è sbagliato dire che si può rimanere immuni per sempre. Inoltre il Covid è presente da troppo poco tempo per tirare qualsiasi tipo di conclusione. In immunologia sappiamo con assoluta certezza che un virus nel nostro organismo sviluppa immunità, però esistono anche motivi per cui ci si può reinfettare anche con lo stesso microrganismo. Succede quando la memoria immunologica con il tempo decresce, quindi il numero degli anticorpi diminuisce. Oppure può capitare quello che è successo a Manaus in Brasile, dove nel marzo del 2020 i primi malati sono stati infettati dal ceppo cinese di Wuhan e a novembre molti di questi, si sono poi reinfettati con la variante brasiliana. Tra l'altro questa variante è stata identificata proprio per questo motivo.

Sappiamo che il virus muta con le varianti per difendersi e sopravvivere, a questo proposito quanto i vaccini che abbiamo a disposizione ci proteggono?

“Dopo la seconda dose di vaccino sappiamo che circa l’85% delle persone è protetta contro la variante inglese e indiana. Un po’ meno con le altre più rare, come la nigeriana o la sudafricana. Però quando parliamo di varianti, dobbiamo allargare il discorso e considerare alcune cose. Prima di tutto quanto sono diffusive, perché se una variante è poco diffusa rimarrà sempre marginale. Poi quanto è più diffusiva rispetto alla precedente, che è la cosa che sta succedendo ora in Inghilterra, dove la variante inglese che aveva rimpiazzato lo scorso autunno quella cinese, sembra che stia per essere rimpiazzata dall’indiana che è più contagiosa. Un altro fattore è la letalità, ovvero il numero dei decessi che riesce a fare rispetto alla variante precedente. In ultimo, la risposta della variante ai vaccini. Nel caso dell’indiana, sappiamo che sicuramente è più diffusiva dell’inglese, ma non più letale. Questa viene riconosciuta dal vaccino solo dopo aver fatto entrambe le dosi, mentre per l’inglese si aveva una buona risposta già dopo la prima. C’è da dire comunque che anche per l’indiana, se ci si infetta dopo aver fatto solo la prima dose di vaccino, il Covid viene preso in forma lieve”.

Portare la seconda dose del vaccino Pfizer a 45 giorni può creare qualche problema, magari proprio di efficacia?

“No perché è stato fatto per la variante inglese che è ora la dominante in italia e secondo le previsioni lo sarà ancora per i prossimi tre/quattro mesi. In questo lasso di tempo con Pfizer saremo arrivati a vaccinare tutti. Ora siamo oltre un terzo, e l’idea è quella di arrivare entro settembre ad una copertura totale”.

Da poco è possibile vaccinare anche gli adolescenti, quanto è importante farlo?

“Fondamentale soprattutto per la Sanità Pubblica. È chiaro che se si guarda al rischio che hanno i ragazzi di contrare il Covid in maniera importante è prossimo allo zero. Però vista la loro socialità, c’è l’enorme possibilità che questi possano infettare le persone fragili. In Italia esistono circa mezzo milione di persone che sono vaccinate ma risponderanno pochissimo in termini di anticorpi. Penso ai pazienti che fanno chemioterapia o agli immunodepressi. Verso questi ci deve essere il dovere morale di vaccinarsi. Inoltre il vaccino per la fascia d’età adolescenziale è sicuro. In tutto il mondo abbiamo vaccinato un miliardo e seicentomila persone. Di queste 900 milioni con Pfizer, e tutte le voci che circolavano di problemi come la miocardite sono state smentite. L’unico vaccino che ha dato qualche lieve problema è stato Astrazeneca, che ha provocato qualche caso di trombosi in soggetti giovani. Per questo in quella fascia d’età si tende a non usare quel vaccino. Al contrario Pfizer, anche da quello che sappiamo dall’esperienza di tutti gli altri Paesi, è assolutamente sicuro”.

È opportuno secondo lei fare la stessa dose di vaccino ad un ragazzo di 15 anni così come ad un anziano di 85?

“Il vaccino non è un farmaco che va dosato per peso corporeo, ma deve indurre in modo attivo una risposta immunitaria, per questo si è sempre data la stessa dose per tutti. Soltanto nei neonati di pochi giorni di vita a volte si inocula mezza dose. Parliamo però di bambini di un chilo e mezzo, non di ragazzi che arrivano magari a pesare 80 chili e sono come gli adulti. La regola immunologica dice che per indurre una risposta si somministrano microgrammi di antigeni, ovvero un millesimo del milligrammo, ed è poi la nostra risposta immunitaria che fa il resto. Inoltre al contrario dei farmaci che sono una cosa passiva, ovvero che dobbiamo continuare a somministrare per ottenere l’effetto, per gli antigeni bastano al massimo due somministrazioni”.

Il commissario straordinario Figliuolo ha parlato di una probabile terza dose da fare. Lei cosa ne pensa?

“Stiamo seguendo la cosa e se la risposta immunitaria declinerà si farà un richiamo”.

Non si parla quindi di nuove vaccinazioni da fare ogni anno come per l’influenza?

“Come dicevo sappiamo ancora poco, perché il Covid è un virus mai visto prima. Fare un richiamo o la cosiddetta terza dose, dipenderà da due fattori: quanto durerà la nostra risposta immunitaria, e ancora non lo sappiamo perché i vaccinati che hanno più esperienza ad oggi sono quelli che hanno fatto gli studi clinici nove mesi fa. Oppure, l’arrivo di qualche variante che possa sfuggire al vaccino. Per questo è fondamentale che anche la fetta degli adolescenti venga vaccinata”.

Da quello che racconta in qualche modo dovremmo imparare a convivere con questo virus, che con le varianti tenta in ogni modo di sopravvivere...

“Come abbiamo fatto con tutti i virus che alla fine siamo riusciti ad “addomesticare”, anche con questo andiamo verso una convivenza. Posso fare alcuni esempi: il morbillo che è passato dai bovini all’uomo, quando è comparso migliaia di anni fa ha avuto un’altissima mortalità, ma in quel modo si sono selezionate le persone che riuscivano dopo l’infezione a sopravvivere. Oggi a parte qualche rarissimo caso di encefalite post morbillosa, con il vaccino e l’immunità ci conviviamo bene. Lo stesso con altri virus. Stiamo addirittura arrivando al punto di convivere, attraverso i farmaci, con l’HIV”.

Per l’HIV non è ancora stato trovato un vaccino tra l’altro...

“No ed è una cosa difficile da fare perché muta continuamente. Molto di più di quello che fa il coronavirus. Però abbiamo farmaci efficientissimi per cui di fatto oggi non si muore più di HIV. Chi si infetta lo rimane in maniera cronica ma fa una vita normalissima. Questo per dire che del Covid stiamo vivendo il periodo iniziale che ha causato molte perdite. In Italia in 14 mesi ha ucciso 126.000 persone che sono un numero spaventoso se si pensa che nella Seconda Guerra Mondiale, considerata la cosa più tragica che l’Italia abbia vissuto, ne sono morte 90.000 per ogni anno. È vero che ha colpito soprattutto gli ultra 60enni, ma sei noi continuiamo a dargli spazio senza vaccinarci, alla fine potrebbe sviluppare una variante che attacca i giovani. Non deve diventare come la Spagnola che uccideva dai 0 ai 100 anni. In quel caso ci sarebbe davvero da preoccuparci. Per questo sottolineo ancora una volta, l’importanza di vaccinare gli adolescenti”.

Si è tornato prepotentemente a parlare dell’ipotesi che il virus del Covid sia uscito da un laboratorio. Che idea si è fatto lei?

“Non ci credo molto, ma essendo la scienza la casa del dubbio, prima di pronunciarmi aspetto di leggere i dati. In ogni caso non è una cosa che mi interessa particolarmente, occupandomi di vaccini e del modo di fermare questo virus, da dove è venuto per me è relativo. Sarà sicuramente interessante per i complottisti o per chi si occupa di geopolitica”.

In caso fosse uscito da un laboratorio, l’approccio medico/scientifico poteva essere diverso?

“Sarebbe stato identico. Come la Sars 1 del 2002, che è passata dal pipistrello allo zibetto e poi all’uomo. O la Mers del 2012, saltata dal pipistrello al dromedario e poi all’uomo. Il Covid è saltato dal pipistrello ad un ospite intermedio fino all’uomo, e posso dire che non siamo neanche l’ospite definitivo se si pensa che noi umani lo abbiamo passato a cani e gatti".

Con le vaccinazioni e l’arrivo dell’estate l’infezione sta diminuendo, secondo lei il prossimo inverno potrebbe esserci un’ondata di ritorno?

“Per quel periodo saremo vaccinati per l’80/85%. Potrebbe circolare un po’ di infezione, ma a quel punto chi si ammala è perché non si è voluto vaccinare, perché entro settembre e ottobre tutti quelli che lo vorranno, avranno ricevuto entrambe le dosi”.

Si dice che fare due vaccini diversi possa aumentarne l’efficacia. Cosa c’è di vero?

“Intanto vorrei chiarire che se si mescolano due vaccini non succede nulla, soprattutto quando la prima dose è fatta con un vettore virale adenovirus (un vaccino che utilizza un adenovirus incapace di replicarsi, per portare all'interno della cellula la sequenza del codice genetico che codifica per la proteina spike, ndr) e un altro vaccino RNA (un tipo di vaccino che agisce tramite inoculazione di frammenti di mRNA nelle cellule umane, le quali vengono indotte a produrre antigeni, ndr).

Questo lo sappiamo già da studi precedenti. In questa fase la cosa migliore è vaccinarsi con lo stesso per entrambi le dosi, ma parlando per ipotesi: o non succede nulla, o addirittura la risposta è leggermente superiore”.

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