Matteo minimo comune divisore

Loro: "Siamo 50mila". Per la Questura: "Settemila". Solo mezzo Pd va in piazza a favore del Sì

Matteo minimo comune divisore

Matteo è il minimo comun divisore di questo Paese. Dove passa, spariglia. La prima volta di Renzi in piazza coincide con un'altra prima volta: quella del Pd spaccato. Non era mai capitato. Mezzo Pd o quasi, dice no a una manifestazione organizzata del proprio partito. Una bestemmia per chi ha fatto della parrocchia laica la sua religione e della piazza la sua chiesa. La sinistra, anche quella più frastagliata, prima di ieri non aveva mai portato in piazza le proprie divisioni, i panni sporchi li aveva sempre lavati in casa. Adesso, per il Pd, nulla sarà più come prima. Indipendentemente dall'esito del referendum. È di fatto un punto di non ritorno.

Fatti loro, verrebbe da dire. Solo che in questa anomala realtà italiana accade l'inverosimile. C'è un premier non eletto che governa un Parlamento giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale. Questo governo personale, con tutti i problemi del Paese, come missione ha scelto di cambiare in fretta e furia la Costituzione. Ma non basta. Allo stesso tempo il premier è segretario del Pd, il partito di maggioranza, quello su cui poggia la vita del governo. Renzi in pratica potrebbe fare il bello e il cattivo tempo. Eppure finora tutto ha fatto tranne che dare una svolta positiva alla situazione italiana. Renzi governa ma non sa governare. Gli manca il carisma del grande leader. Lo si è visto in tv contro Ciriaco De Mita. Il vecchio intellettuale della Magna Grecia sembrava un titano davanti a un dilettante. Il giovane fiorentino che doveva rottamare prima e seconda Repubblica sembra improvvisamente quello che forse è sempre stato: un ambizioso apprendista stregone. Il suo è un potere solo apparente. La prova è proprio quel Senato di cui si vuole liberare. Dal rientro dalle vacanze, infatti, i senatori hanno votato l'aggiornamento del Def e qualche leggina. Ma niente di serio, perché al momento a Palazzo Madama è tutto paralizzato in attesa di vedere come finirà la partita referendaria del 4 dicembre. Accantonati, dunque, i provvedimenti di peso: dal ddl concorrenza al processo penale (si sono votate solo le pregiudiziali), dal ddl tortura a quello sulla cittadinanza. Colpa anche, soprattutto, del fatto che su tutti questi temi la maggioranza di governo è divisa.

Ma come può quindi Renzi credere di vincere il referendum e governare l'Italia se non è riuscito a convincere e governare nemmeno gli uomini del proprio partito? È vero, come sostiene il premier, che quella di Bersani & compagni è una rivolta che nulla ha a che fare con il referendum, anche se le loro obiezioni alla riforma costituzionale e alla nuova legge elettorale sono assolutamente condivisibili.

È vero, sempre come sostiene il premier, che il vero obiettivo dei dissidenti è quello di riprendersi la «ditta», ma un leader incapace di governare il dissenso del proprio partito come può governare il dissenso del Paese che dovrebbe guidare? Se anche dovesse vincere il referendum, si ritroverebbe con mezza Italia che ha votato «no». Che fa, tratta gli italiani che non la pensano come lui, come ha trattato i dissidenti del proprio partito? Spinge alla secessione anche loro?

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