"Non dovevo neppure essere lì, ero libero da quel servizio, avevo terminato il mio turno, ma ho sentito dalla radio che i miei uomini in piazza Indipendenza erano in difficoltà e sono intervenuto". Così aveva parlato il funzionario di polizia finito nel tritacarne mediatico e disciplinare dopo la frase contro i rifugiati ("Se tirano qualcosa spezzategli un braccio").
L'agente ha ammesso: "Lo so, quella frase è infelice, presa da sola ha un sapore sinistro, ma bisogna contestualizzarla. Rispondevo a un agente che mi raccontava che lui e altri erano stati colpiti da sanpietrini. Mi ha chiesto: e se questi ci tirano addosso qualcosa? Allora gli ho risposto in quel modo, ma bisogna trovarsi nella mischia, in mezzo alla bolgia, esposti a rappresaglie imprevedibili. Bisogna viverli quei momenti per comprendere di cosa stiamo parlando".
In una lettera a Libero, Salvino Paternò, colonnello dei carabinieri congedatosi nel 2013 a Rieti dopo 36 anni di servizio, è sceso in campo in difesa dell'agente. E ha scritto: "Io ora scandalizzerò ulteriormente le anime belle che si stracciano le vesti chiedendo la lapidazione del poliziotto, affermando perentoriamente che quell' ordine, seppur espresso in una forma «impropria», era legittimo! E tenterò di spiegare perché. In base alla legge che consente alle forze dell' ordine (e al cittadino) di ricorrere alla violenza, con armi o con altri strumenti di coercizione (articoli 52 e 53 del codice penale), occorrono tre condizioni: - Inevitabilità, e cioè l' obbligo di invitare l' aggressore alla desistenza prima di colpirlo (ovviamente se c' è il tempo di farlo); - Attualità del pericolo, e cioè la possibilità di colpirlo solo nel momento in cui l' aggressore sta mettendo in pericolo l' incolumità di chi si difende o di altre persone (non può essere colpito quando, pur dopo aver commesso una strage, sta fuggendo); - Proporzionalità, chi si difende deve procurare all' aggressore la stessa lesione che lui avrebbe procurato alla vittima se non si fosse difesa".
L'ex militare dell'Arma poi continua: "Ebbene, alla luce di quanto disposto dal legislatore, l' ordine del funzionario sarebbe stato censurabile se costui avesse detto: «Appena li vedete, spaccategli un braccio!». In tal modo avrebbe invitato i celerini a colpire una persona in assenza dei requisiti di inevitabilità e attualità del pericolo. Ugualmente illegittimo sarebbe stato l' ordine seguente: «Se tirano qualcosa, sparategli in testa!». Tale disposizione avrebbe violato il principio della proporzionalità. Ma è del tutto lecito ordinare di colpire qualcuno nel momento in cui sta portando in essere l' aggressione, e ancor più lecito è specificare di procurargli una lesione pari a quella che il poliziotto avrebbe subito prendendosi in faccia una pietra, una bottigliae addirittura una bombola di gas. Cosa rimane allora? Resta solo la frase «colorita» lanciata nel corso delle fasi concitate di una guerriglia.
Cosa gli volete contestare? Di aver violato il bon ton del guerriero o il galateo battagliero? PS: Lo confesso, se avessero dovuto inquisirmi tutte le volte che ho detto «spacchiamogli il culo!» prima di effettuare un' irruzione in un covo di malviventi, mi avrebbero congedato mille volte".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.