In fondo il bipolarismo italiano è ricco di paradossi. Poi quando si parla di spoil system si raggiungono vette a volte incomprensibili. Ad esempio, riguardo all'Agenzia delle entrate viene spontanea una domanda legittima: tornando indietro nel tempo, quando a Napoli arrivarono i Savoia lasciarono che i capi degli esattori delle tasse fossero gli stessi dei Borboni o no? Probabilmente no. Se poi con la memoria facciamo un salto di secoli e magari ci affidiamo alla realtà romanzata, vale la pena ricordare che in quella narrazione Giovanni senza terra si affidò allo sceriffo di Nottingham per esigere i tributi durante l'assenza di Riccardo cuor di Leone e non certo ad un nobile fedele al Re. E quelle tasse e quei balzelli furono talmente pesanti da far nascere la leggenda di Robin Hood.
Appunto, il buonsenso, per non tirare in ballo la saggezza popolare, suggerisce che se c'è un ruolo che può determinare delle conseguenze politiche è quello di chi ha la responsabilità di applicare la politica fiscale del governo. Non per nulla la sinistra che non è nata ieri ed è avvezza a muoversi con disinvoltura nei gangli del Potere nelle sue diverse forme negli ultimi decenni ha scelto cinque direttori dell'Agenzia delle entrate su sei e di questi due hanno ricoperto più mandati: Massimo Romano voluto dall'ex ministro delle Finanze dell'Ulivo, Vincenzo Visco, e Attilio Ruffini nominato da Matteo Renzi. E per dirne una Visco, ribattezzato «il vampiro» per la sua politica fiscale, all'epoca fece fuori un bel po' di dirigenti dell'Agenzia, come ha ricostruito il nostro Felice Manti, tra i quali anche l'attuale viceministro dell'Economia, Maurizio Leo.
Insomma, in un Paese in cui molto è affidato all'interpretazione delle leggi (basta assistere ad un processo in un'aula di Tribunale) la politica fiscale si può applicare in diversi modi, collaborando con il cittadino o spremendolo. Puoi aumentare i controlli su alcune categorie, puoi analizzarle a tappeto, e, magari solo per mancanza di forze o di tempo, avere un occhio meno concentrato su altre. Ed è naturale che queste scelte possono determinare il logoramento del consenso del governo in carica. È una conseguenza che è nelle cose. In fondo quella battuta per cui la sinistra ha crocifisso Giorgia Meloni («pizzo di Stato» nei confronti dei piccoli commercianti) aveva una sua base di verità.
Ora nessuno vuole mettere in discussione Ruffini. Ci mancherebbe altro, sono valutazioni che spettano al governo. Resta l'annotazione su quella strana concezione dello spoil system che alberga anche nel centrodestra: si fanno grandi battaglie sulla Rai, magari si ingaggia uno scontro cruento per la più strampalata delle trasmissioni e poi quando si parla di ruoli davvero rilevanti tutto è consegnato all'inerzia.
Dimenticando che nel Paese in cui vige la dittatura della burocrazia, dove spesso i direttori generali di un ministero contano e sicuramente durano più di un ministro, dove per far fuori Berlusconi si è inventata di sana pianta l'interpretazione di un reato fiscale, il Potere assume molte forme, alcune impalpabili ma estremamente efficaci (e a volte letali) sul piano politico.
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