Qualche giorno fa su Twitter scrissi che l'idea di Letta e di Calenda di mimetizzare l'armata Brancaleone promossa dal Pd per intraprendere una crociata contro il centro-destra, nascondendo i volti del comunista Fratoianni, dell'ex forzista Gelmini, dell'ex grillino Di Maio e dell'ex azzurra Carfagna, dell'ambientalista in trincea Bonelli nella distinzione (strumentale) tra candidati nelle liste dei partiti e candidati nei collegi uninominali, era una presa in giro. In realtà vista la spiegazione banale, quasi infantile alla base dell'operazione, non citai né i consigli del generale cinese Sun Tzu nell'arte della guerra, né le dotte analisi del professore D'Alimonte sul Sole 24 ore. Presi in prestito un'espressione famosa di Ugo Tognazzi nel film Amici miei: la supercazzola. Un mare di parole, un bla-bla esasperato, una lezione di ipocrisia per mascherare uno schieramento in cui c'è tutto e il suo contrario, sulla base di un programma solo in apparenza condiviso (nel comunicato si parla pure di «autonomia programmatica»), che ha in comune una sola cosa: il nemico. Una coalizione che non nasce per governare ma solo per sconfiggere gli altri. Com'è per l'appunto lo spirito di una crociata. Calenda se la prese non poco per quel giudizio. Tirò in ballo cani, guinzagli, Berlusconi, nel tipico lessico del grillino camuffato da liberale.
Ma dopo che ieri è stato celebrato il matrimonio tra il Pd e Azione non cambio opinione: a me Calenda non è neppure antipatico, a volte dice cose sensate, ma alla base di quest'alleanza c'è un ragionamento che somiglia a una «supercazzola», una ratio che non persuade. L'unica cosa convincente semmai sono il trenta per cento dei collegi uninominali per i candidati di Azione (tutt'altro che sicuri). A molti apparirà tanto, a me sembra poco visto che per quella dote ricevuta dal Pd il leader di Azione ha barattato l'idea su cui aveva scommesso, quella di un terzo polo, che aveva affascinato qualche elettore moderato. L'ha gettata alle ortiche per andare in uno schieramento in cui il Pd offre il «diritto di tribuna» a Di Maio, o a Fratoianni, o alla Carfagna a cui non viene neppure riconosciuta la possibilità (è scritto nero su bianco) di cimentarsi in un collegio uninominale perché quei nomi vanno occultati dato che neppure agli elettori del centro-sinistra, notoriamente di bocca buona, andrebbe giù un simile Carnevale.
E che la mia non sia un'impressione sbagliata lo si ricava dal rifiuto di Matteo Renzi di farne parte: il tanto criticato leader di Italia Viva è un esempio di coerenza e di serietà rispetto a chi ha inventato un simile azzardo. Ma lo dimostra anche quello che diceva l'altro Calenda, quello del terzo Polo, non dico un anno fa ma appena la scorsa settimana (verba volant tweet manent): «Azione non entrerà in cartelli elettorali che vanno dall'estrema sinistra a Di Maio che sono garanzia di ingovernabilità e di sconfitta. Sono una presa in giro degli elettori». Appunto, faccio mie le parole dell'altro Calenda: «Sono una presa in giro». Ed è proprio ciò che dopo anni di grillismo non tollera il Paese.
Ora bisogna vedere cosa combineranno nelle urne il capitano di ventura Brancaleone-Letta (il personaggio di Gassman), il povero diavolo autolesionista Pattume-Di Maio (Proietti), il guerriero sassone con la corazza di pentolame Thorz-Calenda (Villaggio) e la fattucchiera Tiburzia-Carfagna (la Sandrelli):
salvata da Brancaleone dal rogo come eretica (magari di Forza Italia) fu causa della sua sconfitta nel duello finale perché gli fece cadere una noce di cocco in testa. Già, visto come stanno le cose meglio gettarla in parodia.
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