Tanti volti smarriti nel caos del Parlamento

Tanti volti smarriti nel caos del Parlamento

In uno dei corridoi che costeggiano l'aula di Montecitorio, Enzo Amendola, compassato ministro per i rapporti con la Ue, interpreta lo stupore europeo sulla confusione italiana. «Salvini e Di Maio, sapevano tutto, dico tutto - si inalbera - quello che ha fatto il loro governo sul Mes. Ci sono pure i report delle Commissioni parlamentari. Fa bene Conte ad essere tagliente. Capisco Salvini che ha imbastito tutta questa storia per polemica politica. Non capisco Di Maio, che fa lo smemorato, ma questi vanno avanti così. Comunque, ora il ministro Gualtieri tenterà di aprire una trattativa in sede Ue, ma poi l'11 dicembre dovremo dire un sì o un no al Mes. Il rinvio nella liturgia europea non è previsto. Uno non può dire che non gioca la finale di Champions perché il figlio ha la raucedine». Sulla stessa linea il capo della delegazione Pd, Dario Franceschini, anche lui provato dalla trattativa estenuante con i 5stelle. «Rinvio? Nessun rinvio - dice sicuro -. Ai grillini che volevano chiedere un rinvio a Bruxelles già per mercoledì, abbiamo spiegato che non era possibile. Non possiamo dare l'idea che abbiamo paura del Mes perché rischiamo solo di mettere in subbuglio i mercati e dare spago agli speculatori. Poi certo vogliamo che vada avanti oltre al Mes anche l'unione bancaria. Come pure se altri Paesi, come la Francia o la Germania, chiedono un rinvio, possiamo essere d'accordo. Altrimenti l'11 dicembre il Parlamento vota un sì o un no. La situazione sfilacciata? È una condizione cronica. E smettiamola di parlare di alleanza organica tra noi e i grillini: sono trasversali. Semmai io ho sempre parlato di alleanza tra centro-sinistra e 5stelle. E per uno schema del genere una legge elettorale proporzionale aiuterebbe».

Chi, invece, sembra aver perso la pazienza è il mondo di Matteo Renzi. «Non si può andare avanti così - sbotta Luigi Marattin, economista alla corte dell'ex premier -, questo è un Parlamento che ha un bubbone, sono quelle centinaia di parlamentari grillini senza i quali non puoi far nulla. Sono quelli che sono, dicono una cosa e ne raccontano un'altra, sono cresciuti con la smemoranda».

Insomma, ormai per descrivere l'attuale condizione di governo, Parlamento e partiti, non ci sono più parole. Sono state tutte consumate da una realtà che le ha superate. Ieri lo scontro sul Mes è stato celebrato da una lunga serie di offese che premier, maggioranza e opposizioni si sono scambiati sullo spartito di concetti che non lasciano spazio a mediazioni: falso, bugiardo, alto tradimento, biechi interessi personali, ignorante, spregiudicato, irresponsabile. Sui banchi dell'opposizione è comparso anche il pupazzetto di Conte-Pinocchio. Se le parole avessero un peso, se appunto non si fossero consumate, un confronto del genere avrebbe un solo epilogo: un duello all'ultimo sangue. Ma nell'era dei governi giallorossi, o gialloverde, tutto fa brodo. Anche le citazioni più ardite.

Graziano Delrio paragona Conte a Romeo che dice a Salvini-Mercuzio: «Tu parli del nulla». Salvini risponde scomodando Confucio, contrapponendo «l'uomo superiore» (ovviamente lui) all'«uomo dappoco» (Conte). Per dirla con il brano di Zucchero, «non c'è più rispetto». E i protagonisti non lo nascondono. Anzi, se ne compiacciono. Confida il premier: «Con Salvini dovevo essere duro e lo sono stato. Il mancato applauso e stretta di mano di Di Maio? Sono stato compunto. Diciamo che non ci lasciamo andare a smancerie».

Già, «compunto»: un'espressione che sulla Treccani trova sinonimi come «composto» ma anche «afflitto». E in fondo, a bene vedere, la condizione difficile del premier, del governo, insomma la grande confusione, trae origine proprio dallo strano rapporto tra Conte e il suo partito di riferimento: è Di Maio che non lo applaude e non gli dà la mano; è Francesco Silvestri che per conto dei grillini, nel dibattito alla Camera, pone una serie di riserve sull'operato dell'esecutivo; sono i 5stelle a parlare di «rinvio» dell'intesa sul Mes; ed è proprio ai grillini che si rivolgono Salvini e la Meloni per far saltare il governo sul Mes. Insomma, per dirla con Marattin, sono loro «il bubbone» di questa maggioranza. La polveriera. La nave senza timone.

Se mentre parla il premier ci sono una quarantina di banchi vuoti tra le file grilline di Palazzo Madama. O ancora, se ad ogni vertice di maggioranza Giggino Di Maio si presenta con la frase di rito, «i miei su questo punto non mi seguono».

E già, è impossibile siglare qualsiasi intesa con un leader che concepisce il rapporto con i propri seguaci sul paradosso: «Sono il vostro capo e allora vi seguo». Sempre che l'assenza di autorità non nasconda disegni diversi. Ieri il ministro per i rapporti con il Parlamento, il grillino Federico d'Incà, aveva chiesto ai suoi di «sostenere Conte nel dibattito», ha ottenuto invece delle prese di posizione improntate ad un lungo elenco di «riserve», le stesse avanzate nei giorni scorsi da Di Maio. Insomma, il movimento è un cane che si morde la coda. E Di Maio è ambiguo, ambivalente. Dice: «Conte ha smentito le bufale di Salvini. Ma sull'intesa sul Mes le criticità sono evidenti». Un giudizio che è la fotografia della confusione. «La verità - è la diagnosi del capogruppo del Pd, Andrea Marcucci - è che Di Maio ha perso il controllo di se stesso. Poi certo per andare al voto Salvini dovrebbe arruolare una decina di grillini. Ma quelli hanno paura delle urne».

Per cui, a ben vedere, l'unica garanzia che il governo non cada, non è nel programma del governo, nell'unità di intenti della maggioranza, nella solidarietà tra i partiti, ma nel terrore grillino di andare ad elezioni. «Anche la vicenda del Mes - giura l'ex capogruppo 5stelle alla Camera, Francesco D'Uva - sarà gestibile. Mica siamo pazzi». Solo che il tira e molla, la trattativa estenuante, la condizione di un movimento in cui il capo non vuole fare il capo e la base non lo riconosce, finisce per logorare pure gli alleati. E non tutti sono dei buon samaritani. «A noi - ragiona Matteo Renzi sul treno che lo porta a Milano - non lo ha ordinato il medico di stare al governo. Io non sono certo tipo da accettare leggi che prevedano la confisca delle imprese agli imprenditori. Né partecipo a vertici per salvare la Banca Popolare di Bari. Né mi piace il reddito di cittadinanza. Per dirne solo tre. Poi sui rapporti tra Conte e il prof Alpa se la sbrighino loro, come pure sulla guerra che Di Maio fa al premier. Hanno messo, per citare Formica, la merda nel ventilatore, ma io grillino non lo divento. Punto. E non pensino di potermi convincere per via giudiziaria. Ho tentato di aiutarli, gli ho dato un'occasione, ma hanno scelto l'autodistruzione.

Io sto a guardare. Certo se io fossi Salvini accetterei subito una legge elettorale proporzionale per avere sicuramente subito dopo le elezioni. Così, invece, anche se cade Conte, rischia solo di avere un altro governo».

Augusto Minzolini

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