Temperamento e calcolo

Due qualità a Giorgia Meloni vanno riconosciute: il temperamento e l'inclinazione a tenere il punto

Temperamento e calcolo

Due qualità a Giorgia Meloni vanno riconosciute: il temperamento e l'inclinazione a tenere il punto. Due qualità che, però, il premier modula sempre con un occhio al calcolo e alla convenienza politica. Ieri dal Nord Africa ha fatto sapere ai benzinai che il governo non può concedere di più, sciopero o non sciopero. Ha di nuovo spezzato una lancia in favore del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che per aver detto cose buone e giuste sull'esigenza di introdurre regole ancora più stringenti sulle intercettazioni si è attirato addosso un putiferio, ma nel contempo la Meloni ha anche detto che bisogna evitare scontri con i magistrati. Non ha neppure lasciato soli i nostri balneari di fronte a un'Europa che pretende il rispetto della direttiva sulla «concorrenza», ma con l'aria di chi punta ad un compromesso.

Un categorico e due modulati che lasciano spazio al dialogo. Tutte posizioni dettate da ragioni di opportunità. Il primo, ad esempio, non può lasciare spazio a ripensamenti: se difendi il ritorno delle accise sui carburanti, devi anche trovare un capro espiatorio per gli aumenti, dimostrare che il rischio di una speculazione c'è. Su Nordio, invece, per passare ai modulati, la Meloni deve assecondare due esigenze: da una parte non può certo abbandonare un Guardasigilli che ha fortissimamente voluto, ma nel contempo non può accettare uno scontro all'ultimo sangue con il giustizialismo, specie se in toga, perché come insegna la storia degli ultimi trent'anni nel suo partito non tutti sono votati al «garantismo». Stesso discorso sui balneari: il premier farebbe volentieri a meno di una diatriba con una Ue che bussa insistentemente alla porta, ma non può dimenticare che si tratta di una categoria molto vicina al suo partito e in genere al centrodestra.

Ecco, nell'agire del nostro premier il temperamento va a braccetto con il calcolo politico. E non potrebbe essere altrimenti. Dopo tre mesi, come per tutti i governi, la luna di miele volge al termine e la Meloni deve prepararsi a navigare in mare aperto. Più si va avanti e più l'opinione pubblica guarderà ai risultati e non alle promesse. Per cui per il premier è vitale alimentare l'immagine decisionista che si è dato. L'ha teorizzata, l'ha coltivata nella narrazione del suo avvento a Palazzo Chigi. È il suo «conio» dimostrare che l'aria è cambiata, che un governo politico come il suo dispone di una maggioranza coesa e può tenere il punto più di un esecutivo tecnico o espressione di una sinistra divisa. Poi c'è, però, la valutazione del rischio, l'esigenza di soppesare i pro e i contro. Se c'è una miscela esplosiva, l'esperienza insegna, è quella che mescola congiuntura economica difficile e giustizialismo. È l'operazione che stanno tentando i grillini e il pezzo di sinistra che guarda a loro. Ecco perché su quel tema il premier difende il suo ministro ma si muove con cautela: più che dissertazioni sulla giustizia, servirebbero provvedimenti di legge.

Stesso discorso vale sul tema dei balneari: non puoi sparare sull'Europa perché hai bisogno di comprensione a Bruxelles sui numeri della nostra economia, ma non puoi lasciare fuori dalla porta neppure un pezzo del tuo elettorato.

In fondo è il sale della politica. È sul dosaggio tra no, nì e sì che il governo si gioca il suo futuro. Guai a sbagliare le priorità: si tratti della benzina, della giustizia o dei balneari.

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