La tentazione: un altro governo per le riforme

La tentazione: un altro governo per le riforme

La politica nobile. Nel corridoio dei passi perduti di Montecitorio Piero Fassino, ex segretario dei Ds, ex sindaco di Torino, ex ministro e ora segretario del Pd, congettura su quella grande confusione che regna sotto il cielo che per Mao Tse-tung era un'opportunità. «Vogliamo andare avanti così, o avere più ambizioni?», è la domanda con cui esordisce. Il suo è un ragionamento di filosofia politica: «Dato che non si può votare da qui ad almeno un anno, vogliamo vivacchiare o osare, mettere in cantiere riforme importanti, occuparci della forma di governo, parlare di cancellierato o di elezione diretta del presidente?. Messa così si potrebbe coinvolgere anche una parte dell'opposizione. A cominciare dall'anima di governo della Lega con la quale sulle scelte economiche abbiamo sicuramente più punti in comune che con una parte dei grillini. Per non parlare dell'immigrazione: se la posizione fosse quella che aveva Roberto Maroni, io non avrei nulla da ridire». Ed ancora: «Il problema è, appunto, se vogliamo avere più ambizioni, o se dobbiamo essere bloccati da quella parte di 5stelle che non ha l'attitudine al governo. In più, coinvolgendo il centrodestra o una parte di esso, daremmo una valvola di sfogo alle pulsioni che ci sono nel Paese, visto che prima o poi si dovrà votare. Se ci fosse questa disponibilità si potrebbe anche ragionare se valga la pena di cambiare o meno il quadro politico». Si tratta di filosofia, appunto. Ma la teoria precede la prassi e, se poni la questione all'altro capo dello schieramento politico, ai seguaci di Giorgia Meloni che sulla carta dovrebbero vedere solo e solamente le elezioni, ti accorgi che la politica serve proprio ad aprire dei varchi. Spiega il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli: «Certo che se si dovesse, faccio solo un esempio, ragionare sull'elezione diretta del capo dello Stato, lasciandogli gli stessi poteri che sono già tanti , ma aumentando la sua legittimazione popolare per usarli, noi non potremmo dimenticare che si tratta di una nostra battaglia storica. Una battaglia del genere varrebbe un governo e una legislatura».

La politica ignobile. In via del Vicario, a dieci metri dalla Camera, Marcello Fiori, ex coordinatore di Forza Italia nelle Marche, ora dissidente, spiega la filosofia dei cosiddetti «responsabili», cioè parlamentari di centrodestra che, secondo un tam-tam che va avanti da mesi, dovrebbero aiutare il governo Conte a sopravvivere. «In settimana annuncia, ma non è la prima volta dovrebbe nascere il gruppo al Senato, ma si tratterebbe di un nuovo soggetto politico che avrebbe l'obiettivo di stabilizzare la legislatura, anche se ancorato nel centrodestra. L'organizzazione portante sarebbe quella dell'Udc, ma ci sarebbero totiani (cioè i seguaci di Giovanni Toti, ndr) come Romani e Quagliariello. La Polverini e altri. La Carfagna potrebbe aggiungersi non ora, ma a cose fatte. Ovviamente il nostro interlocutore sarebbe Conte». Inutile dire che l'idea di un movimento che appoggia questo governo ma resta nel centrodestra, che è all'opposizione, è una capriola che lascia il tempo che trova. Tant'è che l'azzurro Andrea Cangini, che all'inizio era della partita, ha mollato tutto sbattendo la porta. «È un'accozzaglia ignobile si sfoga che punta ad avere due-tre nomine da Conte. Non hanno un obiettivo politico ambizioso».

Matteo Renzi, invece, per indole, preferisce la politica ambiziosa, quasi spericolata. Ed è tentato, molto tentato di rilanciare, di abbandonare il piccolo cabotaggio di Conte, la politica dei «responsabili», del calcolatore alla Camera e al Senato, per pensare in grande. Come, chessò per parlare di riforme, mettere sul tavolo, insieme alla nuova legge elettorale, l'elezione diretta del capo dello Stato o confrontarsi in Parlamento con il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, che preferisce il Cancellierato. «Hanno tentato di ammazzarmi è il pour parler che ha avuto ieri con molti dei suoi , ma non ci sono riusciti. Perché molti di loro non si fidano dei cosiddetti responsabili. E, anche conteggiando i responsabili, secondo me, non hanno i numeri. Vedete, a me non interessa Conte. Lui dice che debbo essere io a chiedergli un incontro, ma io non muoio dalla voglia di fare una visita a Palazzo Chigi, ci ho abitato. A me interessa che questa legislatura, visto che deve durare, punti in alto. Molto in alto. E se gli obiettivi sono ambiziosi, se puntiamo a riformare le istituzioni, non so se questo sia il governo più adatto».

Già, vivacchiare o alzare la qualità delle riforme da fare. La questione, Renzi, la pone oggi, visto che invece di perdere parlamentari ne arruola (da Leu arriva Michela Rostan e dal Pd Tommaso Cerno). «Dopo aver minacciato sfracelli, dopo aver annunciato ai quattro venti che mi avrebbero lasciato tutti continua a ripetere ai suoi hanno capito che senza di noi non vanno avanti». Prova ne è che le nomine per l'Agcom e per l'authority sulla privacy sono state bloccate, visto che nello schema della maggioranza non erano previsti renziani. Come pure le nomine in generale hanno avuto una battuta d'arresto: Palazzo Chigi era disposto ad offrire una presenza del 12,5%, mentre il leader di Iv vorrebbe un rappresentante in ogni cda. La verità è che metà del Pd non è convinto che sia opportuno tentare una prova di forza, non si fida dei numeri che offre Conte. «Noi è il consiglio di Franceschini dovremmo affidarci a parlamentari provenienti dal centrodestra, che vengono da noi solo per contrattare meglio con Salvini. A quest'ultimo basterebbe un fischio, la garanzia di un posto in lista, per riportarli a casa». Una diffidenza, a cui lo stesso Renzi aggiunge un ulteriore corollario per nulla rassicurante per chi pensa di puntellare la maggioranza giallorossa con i mercenari del centrodestra: «Voglio vedere chi, dopo aver militato con Forza Italia, avrà la faccia di approvare la prescrizione di Bonafede o di accordargli la fiducia. Perché è su questi temi che Conte dovrà chiedere i voti».

Così la crisi latente continua. Non si arriverà ad un chiarimento o ad un nuovo governo in tempi brevi. Si andrà avanti per settimane con una tregua che avrà momenti di alta e bassa tensione. Insomma, ci sarà ancora confusione. In Parlamento, ma anche in quelli che una volta erano i due poli. Il Pd ha impresso un'accelerazione alla legge elettorale, vorrebbe approvarla in commissione alla Camera entro il 29 marzo, prima del referendum sulla riduzione dei parlamentari. «Non so se si farà a tempo osserva dubbioso Federico Fornaro di Liberi e Uguali , certo se si abbassasse la soglia di sbarramento dal 5% al 3% tutto sarebbe più facile». Anche sul versante del centrodestra la situazione è tutt'altro che calma. «Visto che Salvini se l'è presa con la mia famiglia senza pensare alle sue famiglie ha detto ieri un arrabbiatissimo Clemente Mastella a due passi del Senato lascio il centrodestra. Faccio un centro per andare con chi mi battezza. Tanto Forza Italia non esiste più. Addirittura Salvini si prepara a silurare Caldoro per candidare il direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano». Tutto è in movimento e tutti si attrezzano. E Giancarlo Giorgetti, nei panni del vecchio saggio, continua a ripetere a Salvini che è inutile sognare le elezioni anticipate dato che non ci saranno. Sarebbe meglio, molto meglio, cambiare gioco e accettare la sfida di una legislatura di riforme, magari assecondando l'idea di un altro governo.

«Se non si cambia schema ha confidato ad un senatore di Forza Italia restiamo fermi al palo e non facciamo il bene del Paese. Matteo (Salvini, ndr) dovrebbe calarsi nelle istituzioni. Se insiste così a Palazzo Chigi non andrà mai!».

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