La figuraccia di Zingaretti: che fine fanno i soldi per i terremotati

Nella regione di Nicola Zingaretti dopo cinque anni tre progetti su quattro finanziati con i fondi raccolti dalle donazioni degli italiani sono ancora in alto mare

La figuraccia di Zingaretti: che fine fanno i soldi per i terremotati

Trentaquattro milioni di euro. Questa è la cifra raggiunta grazie alla generosità degli italiani che nelle settimane successive al sisma che alle 3.36 del 24 agosto del 2016 rase al suolo Amatrice e travolse altri 140 comuni del Centro Italia inviarono un sms al 45500 per dare il proprio contributo alla ricostruzione. I soldi sono finiti su un conto corrente attivato dalla Protezione civile e poi smistati alle diverse regioni colpite per rimettere in piedi scuole, infrastrutture, reti di comunicazione.

Ma a distanza di cinque anni, che fine ha fatto il denaro raccolto? Finora i progetti approvati sono stati in totale 119. Quasi tutti completati, come si legge nell’ultimo rapporto dell’ufficio del commissario straordinario per la ricostruzione, aggiornato a giugno del 2021. A fare eccezione è il Lazio di Nicola Zingaretti, che doveva portarne a termine quattro, per un totale di 4,8 milioni di euro. Ma tra imprevisti e lungaggini burocratiche i dati aggiornati al 30 settembre di quest’anno parlano di una sola opera realizzata. Si tratta della rete Wi-Fi intercomunale che coinvolge una decina di centri del Reatino.

I lavori di riedificazione di tre scuole a Poggio Bustone, Santa Maria a Rivodutri e Collevecchio, fuori dal cosiddetto "cratere del terremoto", invece, sono ancora in alto mare. Per fare un paragone le Marche hanno ricevuto un importo superiore di oltre quattro volte a quello del Lazio, e di 106 progetti approvati ne hanno conclusi, a giugno del 2021, 89. Come riferiscono dall’ufficio del commissario per la ricostruzione, i ritardi relativi ai progetti da implementare nel Lazio sono dovuti a contrattempi e problemi amministrativi.

L’impresa che doveva portare avanti i lavori nella scuola di Collevecchio, ad esempio, nel marzo del 2020 ha chiesto la rescissione del contratto. A subentrare è stata l’azienda che era arrivata seconda nella gara d’appalto, ma i tempi tecnici per espletare le relative procedure hanno fatto slittare il proseguimento dei lavori a giugno. A Poggio Bustone, invece, è stato approvato il progetto esecutivo ed è stata da poco bandita la gara, mentre a Rivodutri erano stati previsti lavori per 400 mila euro, di cui 200mila provenienti dagli sms solidali, salvo poi scoprire in corso d’opera che i soldi non bastavano per portare a termine l’impresa.

Il problema, insomma, è di "sistema". Ma a distanza di cinque anni, viene da chiedersi se quei fondi potevano essere investiti meglio. Per quanto riguarda gli interventi finanziati dagli sms solidali nel Lazio, spiegano a ilGiornale.it dagli uffici di Palazzo Valentini, "gran parte delle difficoltà derivano dalle procedure degli appalti, problemi burocratici e delle singole aziende". Fatto sta che in cinque anni nella regione le donazioni degli italiani non sono ancora state messe a frutto.

La lentezza degli appalti è un problema anche per la ricostruzione post sisma, con circa 5 mila opere pubbliche da realizzare complessivamente. Per ovviare al problema e accelerare la realizzazione delle opere essenziali e propedeutiche alla ricostruzione privata - si parla di oltre 40mila edifici -, da qualche mese, almeno per i centri più colpiti, si è scelto di seguire la strada delle ordinanze speciali in deroga, che bypassano la normativa generale per affidare molto più rapidamente i lavori di progettazione e di esecuzione degli interventi, e garantire tempi di realizzazione più stretti.

Intanto, il commissario straordinario Giovanni Legnini chiede di puntare tutto sulla prevenzione rendendo strutturale nelle aree interessate dalla ricostruzione lo strumento del bonus 110 per cento. "È una misura straordinaria che va estesa temporalmente innanzitutto per i territori ad elevato rischio sismico nei quali, rendendo strutturale tale misura, si potrà mettere in sicurezza il patrimonio edilizio provato e pubblico, non solo quello danneggiato dai terremoti", ha detto intervenendo alla quarta Giornata Nazionale della prevenzione sismica promossa da Inarcassa, Consiglio Nazionale degli Ingegneri e dal Consiglio Nazionale degli Architetti.

Il ragionamento è che se negli ultimi dodici anni lo Stato ha speso oltre 50 miliardi di euro per riparare i danni provocati dagli eventi sismici, tanto vale investire a priori sulla sicurezza degli edifici attraverso una "riforma degli strumenti normativi e finanziari a disposizione".

Tra questi potrebbe esserci, ipotizza Legnini, proprio "l’obbligo del miglioramento sismico come requisito per accedere alle detrazioni del 110 per cento". "Lo Stato – ha concluso il commissario - coprirebbe gli oneri dei lavori, ma a condizione che si arrivi ad un grado di sicurezza elevato degli edifici".

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