Quando lo stupro era colpa delle donne: la "vita speciale" di Tina Lagostena Bassi

Tina Lagostena Bassi, avvocato milanese classe 1926, difese Donatella Colasanti e altre donne vittime di stupro e violenza in un'epoca storica in cui le donne avevano torto a prescindere

Quando lo stupro era colpa delle donne: la "vita speciale" di Tina Lagostena Bassi

Tina Lagostena Bassi, al secolo Augusta Bassi, si faceva chiamare "avvocata". Non per moda né per vacuo ribellismo lessicale, era un titolo conquistato dopo vent’anni di battaglie. La sua armatura era una toga e usava le parole come lance. Le sue arringhe difensive sono e rimangono impresse nella storia della giurisprudenza e anche nella cultura nazionalpopolare. Quando la Rai mandò in onda "Processo per stupro", era il 1979 e lo stupro era ancora considerato un reato contro la morale pubblica, c’era lei a difendere la vittima: Fiorella, 18 anni, di Latina. Lavoratrice in nero e figlia dello stesso proletariato con cui Tina amava mescolarsi negli anni dell’università, quando frequentava le taverne dell’angiporto di Genova con Paolo Villaggio e Fabrizio De André. In quei carruggi stretti e pittoreschi di sguardi come quelli di Fiorella ne aveva incontrati a decine.

Tina Lagostena Bassi nasce a Milano nel 1926. La sua è una famiglia agiata ma la guerra porta scompiglio. I Bassi lasciano l’Italia nel 1943 e riparano in Svizzera. Appena diciannovenne Tina sposa l’avvocato Vitaliano Lagostena. Una scelta rischiosa per una come lei, anticonformista, curiosa e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo con cui confrontarsi. Vitaliano però è un uomo illuminato e non la intralcia. Raccontano che dopo aver assaggiato i suoi "manicaretti" si sia persuaso fosse più conveniente farla studiare. Così Tina si iscrive all’Università di Genova. Sceglie Legge. Lo studio è intenso e lo condivide con l’amico Paolo Villaggio, da lei definito "un secchione nel vero senso della parola". Nel frattempo diviene mamma per ben due volte. "Pensavo che tutte le donne avessero gli stessi diritti, gli stessi privilegi di cui ho goduto io. Volevo studiare, ho chiesto di studiare, mio marito mi ha detto di sì, era contento, i miei mi aiutavano con i bambini. Era una vita felice, facilissima. Poi ho scoperto che non era così per tutte".

Si laurea in diritto penale nel 1951. Diventa allieva di Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte Costituzionale, ricordato per meriti accademici ma anche per aver ideato l’evasione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere di Regina Coeli negli anni della Resistenza romana. Le offrono la cattedra di diritto della Navigazione a Parma. La lascerà un anno dopo per dedicarsi a tempo pieno alla professione. "Ho pensato che era giusto che i miei privilegi venissero messi al servizio delle donne che privilegi non ne avevano, per aiutarle a conquistare i loro diritti". I primi approcci con la professione sono scanditi da una serie di difficoltà. Tina si rende subito conto di quanto fossero maschiliste le aule di giustizia dell’epoca. Nel libro autobiografico "Una vita speciale", Piemme, scritto a quattro mani con la giornalista Germana Monteverdi, racconta alcuni episodi abbastanza emblematici. Come quando durante un’udienza un collega la guardò con disprezzo asserendo che "le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta".

Ma il trattamento peggiore, scoprirà poi, è quello riservato alle donne vittime di violenza carnale. Considerate colpevoli a prescindere, adescatrici, libertine, sbagliate. È per loro che Tina combatte e stringe i denti. La sua è una missione altissima. Crede nella necessità di riformare il codice Rocco. Lo stupro non può più essere considerato un reato contro la morale comune ma contro la persona. C’è una differenza sostanziale. Secondo l’impostazione contro cui Tina si batte, infatti, il bene da proteggere non è la donna, bensì il buon costume sociale.

In quegli anni si celebra il processo per il massacro del Circeo e lei assiste Donatella Colasanti che si è costituita parte civile. La vicenda giudiziaria si conclude con una sentenza storica, ma nel corso delle udienze il tentativo di minare la reputazione della giovane sopravvissuta è costante. Tanto che Tina dirà: "Donatella ha avuto una vita così difficile da farmi pensare che forse era stata più fortunata Rosaria, la sua amica uccisa al Circeo". Questo processo però è anche il primo in cui le donne entrano in aula, partecipano, interagiscono, si mobilitano. "Per me è stato un grande momento di presa di coscienza, sentire il modo in cui in tribunale venivano trattate le donne da quel mondo di avvocati e magistrati uomini. Sembravano quasi solidali con i violentatori perché cercavano di addossare la colpa alle vittime".

Nasce così l’idea di documentare per la prima volta un processo per stupro, per denunciare quelle aberrazioni. Lo trasmetterà la Rai e avrà un impatto fortissimo sull’opinione pubblica. La vittima è Fiorella. È giovanissima e accusa quattro uomini d’averla adescata e violentata per un intero pomeriggio. Attirata in un casolare con la scusa di un colloquio di lavoro. Gli imputati diranno di lei che è una di facili costumi, che si è offerta a pagamento e che non è vero nulla. Si arriva addirittura a disquisire se la fellatio sia compatibile o meno con l’ipotesi di violenza carnale. "Se questa ragazza se ne fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente", sostiene la difesa.

Le arringhe dell’avvocata si fanno sempre più infuocate: "È una prassi costante: il processo alla donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliante venire qui a dire che non è una puttana. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza".

I quattro alla fine ricevono una condanna irrisoria e vengono subito rilasciati in libertà condizionata. L’occasione per riparare a quei torti arriva nel 1994, quando Tina viene eletta alla Camera dei deputati con il Polo per le Libertà. Diventa membro della Commissione Giustizia e coautrice nel 1996 della legge contro la violenza sessuale. È il coronamento del suo impegno in difesa dei diritti delle donne.

Tina, norma su norma, processo dopo processo, scardina pezzi secolari di maschilismo e apre spazi di libertà e dignità per le donne. È una rivoluzione scandita a piccoli passi. Non ha mai pensato che sarebbe bastata una vita per arrivare alla fine. Ogni giorno ha lavorato per il futuro, per quelle che verranno.

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