Toghe sporche e capriole Fini

Massimo Fini è stato un bravo scrittore che, a un certo punto della sua vita, ha fatto dell'odio contro Berlusconi la stupida ragione della sua vita.

Toghe sporche e capriole Fini

Massimo Fini è stato un bravo scrittore che, a un certo punto della sua vita, ha fatto dell'odio contro Berlusconi la stupida ragione della sua vita. E dire che in un articolo scritto nell'estate del 1989 diceva del Cavaliere, dopo averlo incontrato ad Arcore: «Mi colpisce il suo candore, avendolo visto da vicino mi sento di escludere che alle sue spalle ci sia, come si dice di ogni grande ricchezza, un delitto. Mi sento di dire di essere stato troppo khomeinista quando, in più occasioni, l'ho demonizzato. Berlusconi non è il diavolo, come tutti noi è solo un povero diavolo». Gli intellettuali, si sa, sono volubili, spesso cambiano idea a gettone, a volte anche per vendicarsi di non essere stati ammessi ai benefici che il principe dispensa ai suoi cortigiani. Sta di fatto che nel 2018 Fini scrive sei articoli sul Fatto Quotidiano, guarda caso sotto elezioni, in cui definisce Berlusconi «terrorista», «malavitoso», «delinquente» e pure «mafioso». Quando li lessi provai pena per lui e mi preoccupai per le sue finanze: se Berlusconi lo querela è fritto. La querela, ovviamente, arrivò, quando è troppo è troppo. Bene, ieri l'altro è arrivata pure la sentenza. La giudice Damiana Colla ha assolto Massimo Fini, sostenendo di fatto che insultare Berlusconi non può essere reato, a prescindere dall'esito processuale delle inchieste che negli anni hanno coinvolto il presidente. Io non so chi sia questa Damiana Colla, ma rivendico un centesimo della libertà di opinione che lei ha concesso a Fini, per dire che mi vergogno di vivere in un Paese dove è concesso a lei di esercitare la giustizia in modo tanto scellerato e fazioso al punto di coprire chi definisce «terrorista» un uomo che è stato per tre volte primo ministro di questo Paese per volontà popolare. Ma il problema della signora è solo un piccolo, insignificante tassello di un sistema di «non giustizia» ben svelato da Luca Palamara e di cui Massimo Fini si è fatto cantore, illudendosi così di essere un uomo libero e ben sapendo di poter contare, come i suoi compari, sull'impunità.

Non è l'insulto che fa un uomo libero, non è una sentenza che fa un magistrato. Se di loro non si occuperà mai la giustizia terrena sappiano che prima o poi dovranno fare i conti con quella divina, l'unica dove le toghe sporche non potranno mai metter mano.

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