Diceva mamma con la bocca chiusa. Non poteva sorridere. Non poteva ridere, non poteva nemmeno masticare o lavarsi i denti. Lei, una bimba emiliana di appena tre anni, non ha potuto sorridere la prima volta a mamma e papà come tutti i bimbi appena nati non appena ne riconoscono il volto. Affetta da una rara patologia genetica, non poteva aprire la mandibola di oltre due millimetri.
Ma ora l’equipe maxillo facciale dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, guidata dal suo direttore Luca Guarda Nardini, un luminare nel trattamento delle disfunzioni dell’articolazione temporo-mandibolare a livello mondiale, è riuscita a compiere un complesso e delicato intervento chirurgico, donandole il sorriso.
Un intervento, che tutti gli ospedali avevano rifiutato, data la complessità e un intervento compiuto in due tempi. Il primo durato tre ore, il secondo a distanza di quattro mesi durato quattro. Un intervento delicatissimo vista l’età della bambina e vista la parte operata: la faccia. “Un punto delicato - racconta Guarda Nardini al Giornale.it – lì ci sono tante strutture nervose, c’è il nervo facciale che è quello che dà la mimica del volto. È una bambina tre anni e occorreva essere sicuri di non lesionare il nervo e di non ledere”.
“La piccola – racconta Guarda Nardini già presidente della Società italiana disfunzioni e algie temporo - mandibolari (SIDA) – aveva un blocco dell’articolazione mandibolare da una parte, e questo impediva l’apertura della bocca”. In sostanza c’era “una fusione tra l’osso della mandibola e l’osso temporale. Questa situazione è rarissima nei bambini – spiega - Negli adulti invece può succedere in seguito a traumi, solo che negli adulti si può togliere il blocco osseo, ma nei bambini togliendo direttamente il blocco osseo si rischiava di portato via la mandibola, dal punto di vista estetico sarebbe peggiorata ulteriormente perché la piccola sarebbe rimasta senza una parte dei denti e della mandibola”.
E quindi l’equipe prima ha allungato l’osso, ha aspettato che questo si calcificasse e una volta pronto ha tolto il pezzo di blocco. Di modo che alla bimba restasse il pezzo allungato.
“In un primo tempo – continua Guarda Nardini – abbiamo allungato la mandibola di un centimetro e mezzo con un distrattore mandibolare. Una volta fatto questo abbiamo aspettato che questo si calcificasse in maniera corretta, poi, dopo quattro mesi, in un secondo tempo, abbiamo tolto il pezzo di blocco. Allungato l’osso e aumentata la branca montante, abbiamo tolto il pezzo fuso, quello che causava il blocco. Se fosse stato tolto il pezzo fuso subito avremmo dovuto togliere un pezzo della mandibola”.
La piccola, che vista la chiusura della mandibola è stata intubata con uno strumento particolare che viene usato dai pediatri per bambini piccolissimi, ha ricevuto tutte le cautele. Non un normale trapano per tagliare l’osso ma, spiega Guarda Nardini, “un bisturi piezoelettrico che sfrutta le microvibrazioni degli ultrasuoni e che taglia l’osso con massima precisione. Se avessimo usato un trapano comune sarebbe stato facilissimo fare dei danni”.
L' intervento è avvenuto qualche mese fa, ma lo specialista voleva essere sicuro della riuscita. “Quando ho accettato di volerla operare – racconta – l’ho fatto per creare una situazione sociale e funzionale normale. Molti avevano detto di attendere lo sviluppo per intervenire ma sarebbe stato peggio. La bambina non riusciva ad aprire la bocca, parlava a bocca chiusa, avrebbe avuto carie ai denti perché non riusciva nemmeno a lavarli.
In più se ci fosse necessita di intubarla per qualche caso d’urgenza, non sarebbe stato possibile”.Ora la bimba, dimessa, è tornata a casa. Può aprire la bocca di 2, 5 centimetri, può mangiare con facilità, può lavarsi i dentini e soprattutto può sorridere a quei genitori che hanno atteso questo momento per anni.
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