N on è la seconda ondata, ma semmai il virus 2.0. Calciatori e ballerini, discoteche e spiagge. Dalle Rsa alla movida, il Covid macchia la nostra estate, mette a repentaglio la ripresa della scuola e complica un autunno che già si annunciava difficile. Prima assistevamo muti, per parafrasare Pavese, alla mattanza silenziosa e spietata dei nostri vecchi e al suono cupo delle ambulanze che attraversavano le città spettrali. Ora dobbiamo fare i conti con l'esuberanza dei giovani, con il calcetto, il sudore e le vacanze di gruppo in qualche isola da cartolina della Croazia. Sì, oggi è tutto più rarefatto e indecifrabile. L'epidemia colpiva i più deboli, ora cavalca il lusso, la sfrontatezza, la trasgressione. Il sottinteso è sempre più evidente: il positivo, malato o magari asintomatico, non è più un uomo sfortunato, ma è colpevole. Anche se i numeri, per quanto in risalita, non destano, non ancora, paura. Ma perplessità, inquietudine, quasi fastidio per quel nemico insidioso, sempre sul punto di andarsene e invece ancora qui. Fra noi. Forse, converrebbe orientare la discussione verso temi più concreti. Senza farsi prendere la mano dagli apocalittici o iscriversi per ripicca al partito dei negazionisti. Ci vorrebbero poche regole ma chiare. Non un diluvio di disposizioni che dicono tutto e il contrario di tutto, con il risultato di rendere tutti, ma in particolare proprio i ragazzi, scettici e libertini. Perché troppi divieti, mal congegnati e tortuosi, sono il modo migliore per correre verso il più classico liberi tutti. Abbiamo avuto i treni ad alta velocità di nuovo strapieni, ma solo per un giorno, poi le discoteche riaperte, nell'eterno duello fra Roma e le regioni, e poi frettolosamente sbarrate. Si sbloccano le frontiere, ma nessuno prevede quel che poi puntualmente accade: il virus rientra dalla finestra dei turisti adagiati sulla sabbia della Spagna, della Croazia, della Grecia. Si corre ai ripari con i tamponi rapidi che però ci sono e non ci sono, anzi non ci sono proprio, sono sicuri ma anche no. Come tutto il resto. Come il metro a scuola che era un dogma ma è caduto miseramente fra le pareti anguste di un sistema che scricchiola. Si scrive una norma, poi si prevede l'eccezione, la deroga, il contrario del contrario. Tanto, chi ha scansato il pericolo nel momento peggiore, nell'Italia del lockdown e dei troppi necrologi, è convinto di essere inattaccabile. Come se avesse ricevuto quel vaccino che ancora non c'è. E poi le terapie intensive sono vuote. O quasi. Per molti ventenni, convinti come tutti a quell'età di essere invulnerabili, la malattia è al massimo una scocciatura. E allora avanti con le quadriglie, i mojito e le regole, ballerine pure loro.
Figlie di scelte confuse e contraddittorie: il governo annaspa, il Comitato tecnico scientifico si barcamena. Resta ancora lo stato di emergenza, ma non si capisce bene a cosa serva. Troppe porte girevoli: chiudiamone qualcuna. E togliamo le altre.
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