Triste se il capo degli 007 dice: "Non ce la faccio più"

Vedere la Direttrice del Dis abbandonare la tolda di comando mentre i nostri servizi affrontano una prova che richiede il più stretto e rigoroso coordinamento lascia sorpresi e straniti

Triste se il capo degli 007 dice: "Non ce la faccio più"
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Esistono oneri e onori. Nella carriera di un servitore dello Stato i primi possono diventare molto più pesanti dei secondi. Anche perché superare le asprezze quotidiane fa parte non solo degli obblighi, ma delle connaturate qualità di chi è messo a guidare le più alte istituzioni. Anche quando la tensione lo spinge a dire «non ne potevo più». Per questo fa un po' specie assistere ai tempi e ai modi con cui una funzionaria capace, qualificata e stimata come la Direttrice del Dis Elisabetta Belloni ha scelto di uscire di scena. Partiamo dai modi, ovvero dai presunti rapporti conflittuali con il ministro Antonio Tajani e con il sottosegretario con delega ai Servizi Alfredo Mantovano. In questo caso colpisce che una donna cresciuta alla Farnesina e passata poi al coordinamento dei servizi segreti non l'avesse messo nel conto. La Direzione del Dis (Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza) è fisiologicamente (verrebbe da dire istituzionalmente) destinata a conflìggere con le competenze di chi, come Mantovano, deve guidare politicamente i servizi segreti e chi, come Tajani, tiene la barra delle relazioni internazionali. Ed è naturale che i quotidiani attriti portino all'usura i rapporti tra i responsabili istituzionali e quelli politici. Pur trattandosi di discrepanze irrilevanti come quelle successive al decesso di Silvio Berlusconi quando, stando alle indiscrezioni, i vertici dei servizi interni (Aisi) scelgono d'informare la Belloni, mentre quelli esteri (Aise) le preferiscono Mantovano. Ma resistere all'usura quotidiana, non farsi sopraffare dalla tensione e superare gli antagonismi personali rientra nelle qualità del buon servitore dello Stato. Anche perché il ruolo istituzionale, per quanto importante, difficilmente può avere la meglio sull'indirizzo politico di un governo. E fin qui siamo ai modi della questione, ovvero ai contrasti che avrebbero spinto Elisabetta Belloni a concordare, poco prima di Natale, la propria uscita di scena, fissandola per il 15 gennaio. Ora, però, arriviamo ai tempi. E agli imprevisti. Uno di questi è sicuramente la vicenda di Cecilia Sala, la giornalista sbattuta in galera a Teheran tre giorni dopo il fermo, da parte delle nostre autorità, di un ingegnere svizzero-iraniano ricercato dall'Fbi per contrabbando di tecnologie sensibili. Un imprevisto che, anche in virtù dei tre giorni di latenza non sfruttati per mettere al sicuro la giornalista, ha sicuramente contribuito ad aumentare attriti e malanimi. Ma gli imprevisti sono il pane quotidiano di chi ha in mano il timone dell'intelligence nazionale. Per questo vedere la Direttrice del Dis abbandonare la tolda di comando mentre i nostri servizi affrontano una prova che richiede il più stretto e rigoroso coordinamento lascia sorpresi e straniti. In momenti come questi, infatti, la coesione di un Paese è tanto importante quanto le capacità e l'esperienza dei suoi leader politici e istituzionali.

Per questo, anziché ascoltare indiscrezioni sui «non ne potevo più», avremmo preferito vedere la Direttrice del Dis accantonare le dimissioni già concordate e restare a disposizione del Paese fino a quel mese di maggio fissato come naturale scadenza del suo mandato.

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