"Trump e Biden? Li vestirei così..."

Parla Luciano Moresco, lo stylist man di tre presidenti Usa

"Trump e Biden? Li vestirei così..."

“Quando è arrivato nel Paese a stelle e strisce in Italia imperversavano gli anni di piombo, del terrorismo politico. A Washington si era in pieno secondo shock petrolifero, alla Casa Bianca sedeva il democratico Jimmy Carter. Un giovane italiano di belle speranze, Luciano Moresco, allora 26 anni, metteva piede per la prima volta in vita sua a New York. E le trame di cui era esperto non riguardavano la politica o l’economia, ma i tessuti.

L’arrivo negli Stati Uniti il 19 settembre 1977. Come ha iniziato?

“Sono un italiano a tutto tondo, mia mamma è una messinese nata in Egitto, mio padre in Trentino, io sono nato a Genova. Sono stato assunto da un’azienda di Bologna che produceva camicie di seta per uomini e donne presso l’ufficio di New York. A dicembre 1979, ottenuta la green card per il permesso di soggiorno, ho iniziato a lavorare alla mia azienda. Sono partito da una scrivania e dall’angolo di uno showroom. E da un telefono, ho avuto la linea telefonica in meno di 24 ore”.

Lei in precedenza aveva lavorato a Londra per una conforming house che commerciava tessuti tra Giappone, Germania e Zimbabwe.

“A Londra sono rimasto due anni e mezzo, dal 1972. Quest’esperienza mi ha consentito di saltare il curriculum tradizionale italiano, studiando l’inglese a fondo, specializzandomi in marketing alla London School of Economics. Mi sono lasciato alle spalle l’onda lunga del Sessantotto con le sue incertezze e il suo caos specialmente nel mondo dell’istruzione e della formazione universitaria”.

Tornato a Milano che succede?

“Nel 1975, avevo 24 anni, ero molto più formato dei miei coetanei. Ma non c’era un mercato del lavoro in Italia che mi soddisfacesse. Ho trovato per caso un’azienda di maglieria che esportava negli Stati Uniti. Ho iniziato a lavorare lì come assistant manager. Ma il direttore commerciale mi boicottava. Allora ho trovato l’annuncio impossibile, in cui cercavano un giovane con esperienza per lavorare negli States. Sembrava scritto apposta per me!”

Come ha conosciuto il presidente George Bush senior?

“Mi pare fosse il 1993, un mio cliente di Houston mi chiama a New York richiedendomi urgentemente una camicia beige misura 41. Se la fa spedire tramite corriere espresso e paga tutto lui. Mi confessa che è per George W.H. Bush senior, che da poco aveva cessato il mandato da 41° presidente degli Stati Uniti. Poco tempo dopo mi arriva una foto dell’ex presidente con la mia camicia addosso. Me l’aveva spedita lui in persona. Evidentemente era soddisfatto del capo d’abbigliamento che gli avevo fatto arrivare. Da lì è nata un’amicizia vera”.

Che tipo era il presidente Bush senior?

“Affabile, estremamente intelligente e informato delle cose del mondo, era stato anche un diplomatico. Direi un uomo anche sofisticato. Ma sempre alla mano. Prima che arrivassi io aveva un guardaroba generico, non di grandissima qualità, dei sacchi informi direi. Gli feci capire che la qualità e lo stile italiano erano rinomati in tutto il mondo. Gli piacevano soprattutto camicie, cravatte e giacche. Anche osando ai confini degli standard americani, per esempio con la trama scozzese a quadri e con colori più spinti, ma sempre eleganti e sobri”.

E Bill Clinton?

“L’ho abbigliato nel 2000 a nord di New York, presso un negozio, Family Britches, Le braghe di famiglia. Partiva da uno standard di eleganza suo. Quando era diventato presidente aveva già un suo stile, con capi stretti in vita, al contrario del suo vice Al Gore, che aveva dei sacchi per pantaloni! E sulle giacche Gore non andava certo meglio! Clinton ha apprezzato un maglione ‘carta di zucchero’ che s’intonava perfettamente ai suoi occhi”.

E George W. Bush junior?

“L’ho conosciuto dopo il 2008. Andai a Dallas per abbigliarlo. Aspetto che arrivi, e quando mi vede mi grida ‘Lucianoooo!’ e mi abbraccia. Perché ero amico di suo padre. Quindi mi ha trattato come uno di famiglia. Un uomo sincero, schietto, anche se aveva una formazione diversa dal padre, meno internazionale. Gli abiti che calzassero perfetti non gli piacevano. Il concetto di “vestibilità a pennello” per Bush junior era diverso dagli standard italiani. Ho trovato un compromesso tra la nostra eleganza e il sacco all’americana. L’abito è sempre qualcosa da adattare anche alla psicologia di una persona”.

Come vestirebbe Trump?

“Il presidente Trump mi sembra un abitudinario dell’abbigliamento: sempre camicia bianca, sempre abito blu, scarpe nere con i lacci, calze nere. L’unico vezzo che si consente è la cravatta, sempre colorata e spesso di colori accesi. Potrebbe osare uno spezzato, un quadro scozzese, ma probabilmente non rientra nel suo personaggio. Del resto i politici in attività hanno una serie di abiti standard, anche per non perdere tempo e non rischiare di sbagliare abbinamenti cromatici. Trump veste italiano, sia negli abiti prodotti da un’azienda italiana e un po’ anche nelle camicie, confezionate da un’azienda storica americana ma che per anni è stata di proprietà italiana”.

Come vestirebbe Biden?

“Biden ha un fisico diverso da Trump, più asciutto. Per le camicie azzurro, bianco, beige. Spesso indossa il botton down, a volte cravatte ma meno accese di quelle di Trump. Joe Biden veste con un gusto più europeo, cioè l’abito più vicino al corpo. Per cui ci si muove meglio”.

Perché lo stile italiano piace?

“L’Italia contemporanea dà prodotti di qualità, dall’enogastronomia all’abbigliamento al design. Il declino visto dall’estero non esiste. Il fatto è che la qualità di un prodotto ovviamente si paga. Da questo punto di vista è evidente che una concorrenza sotto costo, come quella del Made in China ad esempio, sia dannosa per il posizionamento di mercato dell’Italia sul mercato americano”.

Gli Stati Uniti sono davvero la terra delle opportunità?

“Certo l’american dream ha perso smalto e un po’ di opportunità.

Ma gli Stati Uniti restano sempre la terra delle occasioni, delle aperture, del desiderio di crescere e progredire. È ancora il luogo dei sogni che si possono realizzare con il lavoro che ho conosciuto io un po’ di anni fa”.

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