Si dice che il diavolo è nei dettagli, probabilmente è vero quando si leggono i dati elettorali. Delle elezioni in Basilicata si è già detto tutto: la Lega ha triplicato i suoi voti; i grillini hanno dimezzato il consenso resistendo, però, sulla soglia del 20%; il Pd ha tenuto, ma peggio del previsto. Tutto vero. Ma un paio di dettagli o non sono stati colti, o sono stati sottovalutati. Il primo riguarda il risultato di Forza Italia o, meglio, dell'area centrale del centrodestra. Ebbene alla percentuale degli azzurri del 9,1%, all'apparenza non entusiasmante, vanno aggiunte le liste del governatore Vito Bardi (4%) e di Idea Basilicata, cioè di Gaetano Quagliariello (4,2%): dati che sommati fanno il 17,3%, poco più di un punto meno della Lega, tant'è che alla fine Forza Italia porterà in consiglio regionale 5 consiglieri, uno in meno del Carroccio. «Lo spazio politico c'è, eccome!» commenta Quagliariello: «Se ho preso più del 4% con due noci e una ciabatta, significa che c'è una domanda nel Paese. Con il Pd di Zingaretti che si radicalizza a sinistra, la Lega di Salvini a destra e il crollo dei grillini, i dirigenti di Forza Italia dovrebbero cantare la canzone di Lucio Battisti: Hai ragione anche tu, cosa voglio di più?. Il problema riguarda la loro capacità di interpretare questo pezzo di Paese». L'altro «dettaglio del diavolo», si trova sul risultato dei grillini, quel 20% che Di Maio si è sforzato ad archiviare subito come un inciampo fisiologico, seguito a ruota da Salvini che si è limitato a dire: «Per loro poteva andare peggio». In realtà per i grillini si tratta di un campanello d'allarme estremamente serio: passare dal 44% al 20% in Basilicata, cioè perdere 6 voti su 10, dopo aver improntato l'azione di governo (vedi reddito di cittadinanza) per consolidare il consenso preso alle elezioni politiche proprio nel Sud, preannuncia una disfatta storica alle Europee. «Il 20% in Basilicata si lamenta uno degli esponenti più in vista, sotto anonimato per non essere scuoiato vivo dai suoi - significa che al Nord siamo al 6%».
Ora i due dettagli del diavolo, vanno a cozzare direttamente sulla strategia «attendista» di Salvini: innanzitutto perché la resistenza di Forza Italia sul piano elettorale dimostra che l'ipotesi dell'«autosufficienza» della Lega resta velleitaria; in secondo luogo perché il crollo dei grillini appare sempre più strutturale e c'è il rischio di un contagio nel tempo sul consenso leghista. Congetture condivise da buona parte del vertice leghista. Riserve che, a sentire i capi di gabinetto e i collaboratori di qualche ministro del Carroccio, sono state messe agli atti. E già, perché, visto che la Lega è l'ultimo partito leninista presente sulla faccia della terra, ti devi affidare a loro, se vuoi ricostruire ciò che avviene lì dentro, al netto di veline via WhatsApp o via chat. E uno di loro narra che tre settimana fa, un nutrito gruppo di ministri leghisti, cioè quasi tutti, abbiano prospettato al leader leghista la scelta di «staccare la spina al governo», condividendo la suggestione del sottosegretario Giorgetti, di andare ad elezioni anticipate insieme alle Europee. Tentativo vano, visto che il vicepremier ha chiesto una «prova di fiducia» ai suoi, tirando fuori la vecchia storia che «se noi abbandoniamo i grillini quelli finiscono nelle braccia del Pd», e arrivando alla conclusione: «Non è il momento di rompere». Insomma, Salvini ha sedato i suoi rinviando al futuro, aggiungendo un'informazione: «Aspettiamo di vedere cosa avviene tra i grillini, mi dicono che se il movimento andasse sotto il 20% alle europee, Di Maio si dimetterebbe». Tema all'ordine del giorno, visto che uno dei fedelissimi del vicepremier grillino, Luca Carabetta, già mette le mani avanti: «Non mi piace la logica del capro espiatorio».
Fin qui la narrazione, che però si incontra sempre più con la realtà: il rischio che Di Maio e compagni vadano sotto la soglia fatidica alle europee, si fa, infatti, sempre più concreto. Nel sondaggio di lunedì della maga Alessandra Ghisleri, infatti, se la Lega tocca sempre il 32-33%; se il Pd grazie anche alla geniale idea si fa per dire - di rilanciare lo ius soli sulla scia della vicenda dello scuola-bus, dirottato e bruciato dall'autista senegalese, torna sotto il 20%, cioè al 19,8; se Forza Italia continua a stare sull'11%; se Fratelli d'Italia si aggira sul 5%; ebbene, i grillini continuano nella loro discesa: la scorsa settimana erano al 19,8%, adesso sono al 19,6%. Ma il dato più interessante è il giudizio dell'elettorato sull'intesa di governo. Se all'inizio dell'esperienza del governo Conte il 50% degli italiani pensava che l'alleanza gialloverde avrebbe potuto funzionare, il 9 novembre scorso gli «ottimisti» sono passati al 37% e questa settimana al 27%. Una curva che mette in dubbio anche uno dei nuovi «dogmi» del pensiero salviniano, quello che recita: «Se ci alleiamo con Berlusconi perdiamo il 10% dei voti leghisti. Il centrodestra è una categoria politica morta». Sarà, ma visto che l'autosufficienza è improbabile, non è che l'altra opzione sia più favorevole. «Se facesse un'alleanza con Di Maio spiega la Ghisleri - Salvini perderebbe di più».
Ecco perché il leader leghista prende tempo. «Molto dipenderà insinua Giorgio Mulè, di Forza Italia dal risultato che Salvini farà alle europee: se farà il 33% e insieme alla Meloni toccasse il 38%, andrebbe al voto, fanno già le date del 6 o del 13 ottobre. Come Verdini dixit, con una percentuale del genere si assicurerebbe la maggioranza in Parlamento». Motivo per cui la Meloni ha avviato una campagna acquisti tra i quadri o ex di Forza Italia: l'ultimo è l'ex-coordinatore della Lombardia, Mario Mantovani: dopo che la figlia è subentrata a Guido Crosetto alla Camera, anche lui ha aderito a Fratelli d'Italia. Cose che capitano sulla linea del fronte del centrodestra. Come la storia della candidatura alla Regione Piemonte per il forzista Alberto Cirio: per il coordinatore azzurro, Paolo Zangrillo, ci sarà; invece, Ignazio La Russa è sicuro del contrario. «Salvini dice - non lo vuole».
Tutto questo dimostra che, al di là del crollo grillino, le alleanze elettorali e, addirittura, il proseguo della legislatura, si giocheranno dentro il centrodestra. E qui la strategia di Forza Italia non è ancora chiara: c'è chi vorrebbe, anche tra i consiglieri storici del Cav, un'opposizione più esplicita non solo ai grillini, ma anche alla Lega («Salvini è l'analisi del saggio Gianni Letta conosce solo i rapporti di forza»); e chi, invece, è più prudente. «I leghisti ironizza Zangrillo sono solo compagni che sbagliano».
E il Cav? Aspetta: «I miei mi consigliano di essere più duro con Salvini ha confidato ad un amico - ma se rompessimo ora, in questa fase diventeremmo irrilevanti». Insomma, anche Berlusconi è attendista. Come Salvini. Per ora.
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