Questa volta per la prima volta - siamo alla vigilia delle elezioni europee che non sono soltanto un grande sondaggio sulla politica nazionale, ma servono davvero a disegnare il futuro dell'Europa. Un futuro che riguarda da vicino tutti gli italiani, perché anche se non lo volessimo quello che accadrà dell'Europa influenzerà in modo determinante il destino dell'Italia, cambierà il futuro personale di ciascuno di noi e delle nostre famiglie.
Se i nostri figli o i nostri nipoti vivranno meglio o peggio di noi, se vivranno in un mondo libero e sicuro o al contrario gravido di pericoli, se potranno trovare un buon lavoro ben retribuito o invece dovranno andare a cercare lontano un futuro adeguato alle loro capacità, tutto questo dipenderà da ciò che sarà dell'Europa molto più che dai governi nazionali.
Per questo ho deciso di basare questa campagna elettorale non tanto sui conflitti e sui teatrini di una politica nazionale, decisamente di basso profilo, quanto sull'impegno per spiegare agli italiani la posta in gioco nei grandi equilibri della politica mondiale che si stanno trasformando. Non sono discorsi lontani e astratti di geopolitica; al contrario è in gioco la vita, la prosperità, la sicurezza di tutti noi.
La sicurezza, la pace, la libertà, il benessere nella storia sono sempre dipese da quello che accadeva nel mondo intorno a noi e soprattutto in Europa e nel Mediterraneo. E molto spesso si è trattato di conflitti devastanti.
Oggi questo vale in misura assai maggiore del passato, in un mondo nel quale la tecnologia ha annullato le distanze. I missili nucleari dei quali minaccia di dotarsi un Paese lontanissimo come la Corea del Nord potrebbero colpire le città europee prima che gli Stati Uniti, contro i quali sarebbero rivolte. La Cina è dall'altro capo del mondo eppure (...)
(...) la sua presenza economica, politica, tecnologica influenza le nostre società ogni giorno di più. Se riscaldiamo le nostre case, se le nostre automobili possono circolare, se abbiamo la corrente elettrica, se le nostre fabbriche funzionano è perché Paesi dell'Africa e dell'Asia ci forniscono l'energia necessaria.
L'integralismo religioso dell'Islam può arrivare a pochi chilometri dalle nostre coste se la crisi libica non trova una soluzione. In ogni caso, a pochi chilometri dalle nostre coste premono decine o centinaia di milioni di africani attratti dalla nostra ricchezza e dal nostro stile di vita, che oggi possono conoscere e vorrebbero condividere.
Davvero qualcuno pensa che l'Italia da sola, senza l'Europa, possa affrontare questi problemi? Non abbiamo né le dimensioni numeriche, né la forza politica, né quella economica, né tantomeno quella militare per poter giocare un ruolo da soli. Saremmo spazzati via dalla dimensione delle forze in campo. Questo non vale solo per noi, vale per Paesi ben più solidi, con eserciti più potenti, che dispongono anche della bomba atomica, come la Francia o come la Gran Bretagna, che scegliendo la strada dell'isolamento ha indebolito se stessa e l'Europa.
L'Europa come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi ha avuto un grande merito storico: ha assicurato 70 anni di pace fra Paesi che nel mezzo secolo precedente si erano combattuti fino a distruggersi reciprocamente. Grazie a queste lotte fratricide l'Europa, che nel 1910 dominava il mondo, solo 40 anni dopo - nel 1950 - era una regione affamata e semidistrutta di un mondo dominato da Russia e Stati Uniti. Chi ha conosciuto gli orrori della guerra sa quale valore inestimabile siano 70 anni di pace, sa quale significato abbia attraversare, senza neppure fermarsi a mostrare un documento, frontiere sulle quali intere generazioni di giovani hanno versato il loro sangue e hanno sacrificato le loro vite in nome dei nazionalismi e dei sovranismi dell'epoca.
Questo grande merito dell'Europa non consente di chiudere gli occhi sul fatto che la costruzione dell'Unione Europea ha poco alla volta svuotato e tradito il sogno dei padri fondatori: da grande spazio di libertà fondato sui valori cristiani e sul pensiero liberale, l'Europa si è tradotta in una gigantesca e ottusa burocrazia al servizio solo di se stessa o di alcuni interessi particolari. Siamo andati verso uno «statalismo europeo» che si è tradotto in un vincolo in più, in un gravame ulteriore per cittadini e imprese. Ma soprattutto l'Europa ha fallito clamorosamente dove sarebbe stata indispensabile: nella politica internazionale. Ha permesso ed anzi in buona parte causato il caos in Libia ed in altri Paesi del Nord Africa. Non ha svolto nessun ruolo in Medio Oriente. Soprattutto, ha lasciato soli gli italiani e pochi altri Paesi di fronte al dramma delle migrazioni.
Noi non difendiamo affatto l'Europa di questi ultimi anni. Anzi, i nostri governi sono stati i primi a contestare questa Europa, questa idea di Europa. Sono stati i primi a rivendicare con forza le ragioni dell'Italia, anche a costo di minacciare o di utilizzare il diritto di veto quando un importante interesse italiano era messo in pericolo. Forse proprio questo ha causato qualche intervento straniero nel vero e proprio, anche se incruento, colpo di Stato che portò alla fine del nostro ultimo governo, che è stato anche l'ultimo governo scelto dagli italiani e non da una manovra di palazzo.
Noi non siamo come il Pd, che ha sempre usato l'Europa come alibi, o addirittura come arma contro di noi. Noi abbiamo la coscienza a posto, proprio per questo possiamo dire con forza che l'Europa è da cambiare, forse da rifondare e certo non da distruggere. Può non essere la casa che vorremmo, ma è la nostra casa.
Se l'Unione Europea venisse meno, ci troveremmo soli a fronteggiare le grandi sfide del mondo. Non è difficile immaginare quale sarebbe l'esito di questo confronto. Non potremmo neppure contare sulla solidarietà degli altri governi «sovranisti», perché ogni sovranista pensa alle proprie frontiere, ai propri interessi, non a quelli degli altri.
Per questo la nostra campagna elettorale è per il futuro. Diceva De Gasperi che un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni. Noi in queste elezioni pensiamo proprio alle prossime generazioni, perché solo se dalle urne italiane e degli altri Paesi europei uscirà un'indicazione chiara per un'Europa diversa, allora si potrà restaurare e rilanciare su nuove basi l'edificio europeo.
Ho parlato tante volte di «sovranismo europeo», che vorrei diventasse un po' lo slogan di questa nostra campagna elettorale. Questo significa una forte tutela dei nostri interessi, del nostro stile di vita, della nostra identità di europei, ed anche all'interno di questo - dell'identità dei singoli Stati, dei territori, delle regioni d'Europa. Sono molte le cose che differenziano un italiano da uno svedese, da un tedesco, da un francese, da un greco, ed è giusto che queste diversità permangano e vengano tutelate, perché sono una grande ricchezza. Ma è incomparabilmente di più quello che ci unisce, a partire dalle comuni radici cristiane, dalla società aperta liberale, dallo Stato di diritto, dal valore dato alla persona, dall'uguaglianza degli esseri umani, dal rispetto delle minoranze. Tutto questo senza parlare del grande patrimonio di cultura, di pensiero, di spiritualità che appartiene a tutti gli europei. La cultura che ha prodotto grandi filosofi, grandi scrittori, grandi musicisti, grandi artisti, che ha permesso di costruire grandi cattedrali e splendidi palazzi. E a proposito di cattedrali, perché abbiamo sofferto tutti così tanto assistendo alle immagini del rogo di Notre Dame? Perché è un'espressione sì della Francia, ma anche delle nostre radici cristiane di europei.
Dunque il «sovranismo europeo» non deve soltanto difendere tutto questo, ma deve rivendicarlo con orgoglio, perché l'Europa ha prodotto il meglio della civiltà umana da tanti punti di vista. Naturalmente tutte le culture e le tradizioni meritano lo stesso rispetto, ma è innegabile che solo la cultura europea ha creato sistemi politici rispettosi della libertà e dell'uguaglianza fra gli esseri umani. È questa nostra idea dell'uomo, della società, del mondo, che noi dobbiamo difendere ed affermare in una competizione globale che non è soltanto economica, ma è di sistemi.
Molto prima che ne parlassero altri, noi abbiamo lanciato l'allarme sul ruolo che la Cina sta assumendo. È un allarme che ogni giorno si dimostra più giustificato, e che nessuno nel mondo è davvero attrezzato ad affrontare. L'America di Trump considera la Cina una grande sfida bilaterale, ma non è più disposta a fare il «gendarme del mondo» e comunque non crede in un approccio multilaterale; la Russia è stata spinta proprio dalla miopia dei leader occidentali a cercare in Asia alleanze meno naturali di quelle che avrebbe trovato in Europa. Eppure la Russia per storia e per vocazione dovrebbe essere una parte integrante dell'Europa.
Il fatto è che la sfida cinese, lo ripeto, non è soltanto una sfida economica. È un disegno imperialistico, perseguito con mezzi politici ed economici e solo per il momento non militari. La Cina è uno Stato totalitario che non ha abbandonato il sistema a partito unico, il Partito Comunista, voluto da Mao Tse-tung. Ha adottato l'economia di mercato verso l'esterno, ma rimane un Paese non democratico nel quale il partito decide tutto, comprese le scelte economiche.
Fra pochi giorni cadrà il 30° anniversario della strage di piazza Tienanmen, quando le speranze e le richieste di democrazia in Cina vennero definitivamente soffocate nel sangue. La foto dell'uomo che da solo blocca il procedere di una fila di carri armati rimane nella storia e nei nostri cuori come uno dei simboli dell'irrinunciabile aspirazione dell'individuo alla libertà.
Oggi in Cina sono le grandi sovvenzioni pubbliche (oltre che le condizioni durissime alle quale il regime obbliga a lavorare parte della popolazione) che permettono per esempio alle aziende cinesi di essere iper-competitive e di praticare una concorrenza spesso sleale, oppure di acquisire con facilità asset strategici in molti Paesi, come i porti e altre infrastrutture. Vi è anche il fondato sospetto che la Cina, attraverso la diffusione e la vendita a basso prezzo delle tecnologie più avanzate di produzione cinese, come l'infrastruttura 5G, possa acquisire dati sensibili di rilevanza strategica dei Paesi occidentali. A questo proposito, dovremmo riflettere sul fatto che l'Italia è fra i Paesi che non pongono praticamente nessun limite all'utilizzo della tecnologia 5G di produzione cinese.
Il «modello cinese» - che la Cina non fa mistero di contrapporre a quello occidentale - è un modello che perseguita il dissenso e le minoranze, da quelle religiose a quelle nazionali. La Cina ha ottenuto grandi risultati economici, certamente, ma a prezzo di grandi sofferenze e soprattutto a prezzo della libertà.
Per questo quella con la Cina sarà la sfida del 21° secolo, la sfida per le nuove generazioni. Una sfida che solo l'Europa, alleata con gli Stati Uniti e ricuperando un rapporto con la Russia, può pensare di affrontare. In questa prospettiva anche il ruolo dell'Alleanza Atlantica, che rimane l'architrave della nostra visione della politica estera, è destinato a cambiare. La Russia era il naturale competitor della Nato nell'epoca comunista, potrebbe invece essere un partner prezioso oggi. È il traguardo che il nostro governo era riuscito a raggiungere a Pratica di Mare, quando nel 2002 riuscii a convincere il Presidente Bush, il Presidente Putin e i principali leader europei a firmare lo storico accordo che poneva fine a cinquant'anni di guerra fredda e di equilibrio del terrore. Lo spirito di Pratica di Mare si è poi dissolto per colpa della miopia di alcuni leader occidentali, ma ricuperare un rapporto fra la Nato e la Russia è un obbiettivo da perseguire assolutamente.
Ecco, questi sono i grandi temi in gioco il prossimo 26 maggio. Temi rispetto ai quali le liti da pollaio della politica italiana scompaiono dall'orizzonte. Per questo vorrei parlarne il meno possibile.
Non possiamo tacere una cosa però e cioè che proprio la politica di questo governo non ha solo fatto male all'Europa, ha fatto male al ruolo dell'Italia in Europa, che oggi è isolata e rischia di pagare a caro prezzo tale isolamento proprio nei futuri assetti dell'Unione. Noi al contrario proprio con una politica di fermezza, ma anche e soprattutto di alleanze e di consenso eravamo riusciti ad avere, quando governavamo, Mario Draghi alla guida della Bce, e più tardi il nostro Antonio Tajani al vertice del Parlamento Europeo, la sola istituzione europea scelta dai cittadini.
Per questo ho scelto di andare in Europa e per questo è necessario portare in Europa una presenza forte di Forza Italia. Perché solo dentro il Partito Popolare Europeo, che è la nostra casa di cattolici liberali, e che continuerà ad essere la maggiore forza politica d'Europa, possiamo giocare un ruolo importante per cambiare l'Europa e difendere l'Italia. I sovranisti, a cominciare dalla Lega, anche se in Italia avranno un buon risultato elettorale in Europa saranno isolati e conteranno poco o nulla. Il voto a loro non è un voto utile, come non lo è quello al Pd, che ha dimostrato di non saper o voler interpretare il cambiamento e in tutti questi anni è stato il difensore dello status quo europeo.
Per cambiare l'Europa ci siamo dati un obbiettivo ambizioso. Quello di cambiare la maggioranza consociativa che fin qui ha governato l'Europa. Quella basata sull'alleanza, o sulla spartizione, fra i maggiori partiti europei, Popolari, Socialisti e Liberali. Un'ammucchiata innaturale fra forze politiche nei rispettivi Paesi antagonisti che non poteva portare buoni risultati. Non ha saputo dare una guida politica all'Europa che è diventata un luogo di tecnocrati privi di legittimazione popolare. È il destino dei sistemi consociativi e delle alleanze contro natura, a livello nazionale ed europeo.
Noi vogliamo lavorare per una nuova maggioranza in Europa che veda i Popolari e i Liberali con i Conservatori e quella parte dei sovranisti che sono riconducibili non soltanto alla democrazia ma anche a un programma concreto e ragionevole. Credo che la Lega e Fratelli d'Italia (ammesso che raggiungano il quorum necessario ad entrare nel Parlamento Europeo) possano avere queste caratteristiche, ma sono anche convinto che da soli non avrebbero alcuna prospettiva in Europa.
Quello che pensiamo di ricostruire in Europa è quel centrodestra che è la nostra casa naturale in Italia; il nostro progetto è quello di riproporre in Europa quella sana e corretta alternativa destra-sinistra che è il sale della democrazia e che vede competere, in modo civile ma con una netta distinzione dei ruoli, forze politiche che si ispirano a valori e a programmi radicalmente diversi.
Quando si viene meno a questa regola nascono soluzioni confuse, ambigue, fallimentari come la maggioranza gialloverde che governa il nostro Paese. Una maggioranza che dobbiamo ricordarlo sempre non è stata scelta dagli elettori: chi ha votato Lega ha inteso esprimere un voto di centrodestra, mentre i voti ai grillini erano in parte voti di pura protesta, in parte con una forte connotazione ideologica a sinistra. Quello che li tiene insieme è una pura logica di potere che per il momento funziona sul piano del consenso, ma che non funziona affatto per quanto riguarda gli interessi generali del Paese.
Non vorrei parlarne se non fosse perché questa irresponsabile lite continua fra chi ci governa mina ulteriormente la già scarsa credibilità del nostro Paese nel mondo. Il prezzo lo paghiamo con la sempre più scarsa inclinazione degli investitori internazionali a venire nel nostro Paese. Tutti gli indicatori, dalla disoccupazione che aumenta al tasso di crescita che è il più basso d'Europa, indicano che le cose vanno male, tutti gli economisti responsabili sanno che entro qualche mese non si potranno evitare provvedimenti dolorosissimi, o l'aumento dell'Iva o una patrimoniale, se si vuole evitare la bancarotta. Eppure chi ci governa litiga ogni giorno su tutto, sempre di più man mano che si avvicinano le elezioni. Sono convinti, così facendo, di raccogliere consensi, di dividersi le tifoserie, cioè l'elettorato. È un gioco pericoloso, sulla pelle degli italiani, che non ha mai portato fortuna a chi lo ha condotto prima di loro. Il Pci provò ad essere «partito di lotta e di governo» e finì molto male, pur avendo ben altra struttura, radicamento ed esperienza rispetto a chi ci governa oggi.
L'Italia non ha bisogno di litigi. È questo l'altro messaggio che vorrei che lanciassimo in questa campagna elettorale. Ha bisogno di unità, di concordia perché le cose che ci uniscono, come italiani, sono molte più di quelle che ci dividono. Il Paese ha disperatamente bisogno di uno sforzo collettivo per uscire dalla crisi. Uno sforzo che richiede politiche adeguate, a cominciare dai tagli fiscali, da una vera flat tax. Richiede vere politiche sulla sicurezza, non si può giocare con i numeri sulla presenza dei clandestini e sulla giustizia, che non può essere usata come una clava nello scontro politico. Richiede infrastrutture degne di questo nome e una vera politica per creare lavoro, non assistenza. Ma che richiede anche parlare un linguaggio positivo, mettere da parte quello dell'odio, tornare a credere nell'Italia e negli italiani. La politica in questi anni ha cercato di raccogliere consenso sulla demonizzazione, sull'odio sociale, sul conflitto permanente, sulla paura. Io credo invece che si vinca con la speranza, indicando agli italiani non un nemico da abbattere ma un sogno da realizzare, un futuro concreto da costruire.
Io andrò a Bruxelles per costruire un'Europa diversa, in continuità e coerenza con 25 anni di storia, senza rinunciare al mio sogno di una rivoluzione liberale per il Paese che amo. In altre parole sono e sarò in campo, in Italia e in Europa.
Oggi però tutto questo è prematuro. Oggi noi dobbiamo parlare agli italiani del loro futuro, in Europa e in Italia. Un futuro che dipende, per larga misura, dal loro voto del 26 maggio. Un'Italia più forte in un'Europa più libera, più consapevole del proprio ruolo, più attiva nel mondo, più vicina ai suoi cittadini, più orgogliosa della sua e nostra identità.
Questo è il nostro obbiettivo principale.
L'altro obbiettivo, che comunque è sempre bene ricordare, è che ogni voto in più a Forza Italia avvicina la fine dell'incredibile governo gialloverde e la ricostruzione di un centrodestra tradizionale, coerente con i nostri programmi, liberista in economia, capace di abbattere le tasse e di creare lavoro, impegnato a costruire le infrastrutture ma anche una giustizia più giusta.
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