Ieri la Chiesa, con una dichiarazione della Congregazione della Dottrina della Fede, ha ribadito la propria condanna su aborto, ideologia gender e maternità surrogata. Molti progressisti affascinati da Francesco sono rimasti delusi. Sbagliano. La dichiarazione non è una rivincita dei tradizionalisti: è in linea con la dottrina cattolica di sempre. Giusto così, quindi: documento ineccepibile. Però non condivido mi permetto di non condividere, dal mio pulpito ignobile l'auspicio di Papa Francesco, il quale esorta tutti gli Stati del mondo a considerare la maternità surrogata come un reato. Equiparare i peccati ai reati è sempre rischioso, lo faceva Savonarola e fu scomunicato, lo faceva Calvino nella sua Ginevra, lo fanno ancora oggi nelle teocrazie. La Chiesa cattolica l'ha fatto in passato, o meglio l'ha fatto fare agli Stati suoi alleati, e non le è giovato affatto, perché il governo dei preti è la più formidabile fabbrica di atei. Equiparare i peccati ai reati è rischioso anche perché non sempre quello che per la Chiesa è peccato deve essere anche un reato per lo Stato, e viceversa. Ci sono peccati che per questo Papa sono gravissimi (il non aiutare i poveri e i migranti, l'essere indifferenti di fronte alle sofferenze degli altri), ma non sono reati. Poi ci sono reati che non sono peccati: disobbedire alle leggi razziali, ad esempio. Poi ci sono peccati che erano reati anche in Occidente (l'adulterio, l'omosessualità) e che ora lo sono soltanto nei Paesi islamici. Le sensibilità cambiano: quelle laiche e pure quelle di fede. Quel che deve restare ferma è la distinzione tra Stato e Chiesa.
Personalmente credo che l'aborto sia una tragedia, che l'ideologia gender sia assurda, che l'utero in affitto sia un mix fra egoismo e sfruttamento. Ma lo dico senza giudicare chi fa quelle scelte, perché moralmente non mi ritengo superiore a nessuno, anzi. Soprattutto, lo dico convinto che la soluzione non può essere un processo penale, e tantomeno la galera.
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