“All’inizio sembrava un film, una candid camera per un horror… ma si respirava un’aria pesante”. Elisabetta Luciano è una giovane mamma, lavora come sommelier in un ristorante a Codogno, la città nella quale vive. 16mila abitanti nella Bassa Lodigiana. Il “ground zero” dell’epidemia di coronavirus in Italia. Elisabetta riavvolge il nastro di questi giorni incredibili, terribili, ma anche pieni di speranza.
Allora, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana propone di estendere il “metodo Codogno” (da ieri 10 marzo nessun nuovo contagio) a tutte le province lombarde. Come vi siete sentiti?
“Quando lunedì scorso hanno tolto la zona rossa per estenderla a mezzo Nord Italia ci siamo sentiti un po’ presi in giro. Hanno tolto i blocchi stradali, dopo che domenica sera c’era gente che aspettava di passare una serata in qualche locale fuori Codogno, anche a Piacenza. Molti di noi in realtà vorrebbero rimanere ancora zona rossa per una settimana. Perché la cosa funziona, il contagio si è fermato”.
Può funzionare in tutta la regione?
“Se viene rispettato sì. Non servono carabinieri, esercito eccetera. Le persone non devono stare a contatto tra loro, devono rimanere il più possibile a casa, ma se è permesso anche passeggiare da soli in spazi aperti non lontani. È molto rilassante, è una pausa dagli stress della vita quotidiana”.
Riavvolgiamo il nastro di queste giornate bestiali vissute a Codogno…
“Giovedì 20 febbraio si diffonde la notizia di Mattia, il paziente uno contagiato dal coronavirus nell’ospedale di Codogno. Lo conosciamo quasi tutti. Ci siamo resi subito conto della gravità della cosa. Poche ore dopo non c’era un’anima viva per strada. Il 21 febbraio, venerdì, c’era mercato in piazza, deserto. Il bar centrale deserto, il laboratorio di pasticceria Cornali chiuso. Poi nel pomeriggio il Comune ha ordinato di chiudere tutti gli esercizi commerciali, farmacie e alimentari inclusi. Questo fino a domenica. Alle 8 di sera carabinieri e finanzieri hanno bloccato tutti gli accessi a Codogno”.
Come vi siete sentiti?
“Sono stati giorni tremendi. Non sapevamo niente, avevamo solo la consapevolezza di Mattia grave, con questa terribile polmonite. C’erano tanti, però, che ancora non capivano cosa stesse accadendo. Ma da domenica anche i più ottimisti si sono dovuti ricredere. Anche di fronte alle scene di assalto ai supermercati fuori Codogno, a Casalpusterlengo, a Piacenza, a Lodi. Fino a domenica sera ancora non c’erano i blocchi. Girava la voce che avrebbero bloccato Codogno, cresceva la paura di restare intrappolati. E senza ospedale, perché ci hanno detto subito, da giovedì di non andare perché era chiuso al pubblico”.
Gli alimentari e le farmacie di Codogno quando hanno riaperto?
“Lunedì 24 febbraio, al mattino. Le farmacie con orario normale, i supermercati con orario ridotto. C’erano le file, si entrava a scaglioni, per non stare troppo vicini l’uno all’altro. Ci è sembrato un po’ di recupero della normalità”.
Ma poco dopo arrivano gli uomini con la tuta integrale in casa sua. Cosa è successo?
Erano le cinque del pomeriggio. Mi sembravano degli astronauti. Ma erano angeli. Li ho osservati dalla finestra di casa mia. Arrivano indossando questa tuta bianca integrale, doppi guanti, mascherina, occhiali protettivi. Sono venuti a prendere a casa sua mio suocero, che da una settimana avvertiva febbre alta, ma respirava bene. Ma io sentivo che qualcosa non andasse. Infatti era da sabato che chiamavo il 112, ma venivo ogni volta rimbalzata indietro con la promessa di essere richiamata. Anche di fronte a una mia richiesta di tampone. Ma ne avevano fatti a moltissimi codognesi venerdì e sabato, erano finiti. Sono entrati in casa questi infermieri in tuta, mio suocero riusciva a camminare e sono usciti. Dopo un paio d’ore mi ha telefonato che lo avevano portato a Cremona. È stato due giorni al pronto soccorso. A un primo tampone è risultato negativo, ma a un secondo tampone il giorno dopo risultava affetto da coronavirus. È tuttora sotto ossigeno, non intubato, ma con maschera”.
Dopo siete stati anche lei e i suoi familiari sospettati di essere contagiati, giusto?
“Domenica 1° marzo hanno iniziato a telefonarmi due volte al giorno per informarsi sulla mia temperatura corporea. Ma io avevo già iniziato a mettermi in quarantena volontaria anche da prima che portassero mio suocero in ospedale a Cremona. E li informavo anche sulla temperatura dei miei familiari. Lunedì 9 marzo mi hanno telefonato per dire che era finita, un’altra conquista!”
Com’è stato spiegare ai suoi figli cosa stesse accadendo?
“Da sabato 22 febbraio al più grande avevano chiuso l’alberghiero a Piacenza, il più piccolo fa la prima media a Codogno. Ho capito che il virus stava facendo preoccupanti passi avanti ogni ora. I genitori che andavano a prendere i figli alle scuole elementari erano tutti preoccupatissimi. C’era stato un tam-tam anche sulle chat dei genitori. Ho isolato i miei ragazzi in casa, da allora li faccio uscire in giardino, al massimo qualche rara passeggiata in campagna. Il più piccolo mi dà una mano in cucina, il più grande cerco di tenerlo legato ai compiti. Anche se ora è molto preso dal suo “cinquantino” nuovo. Ma per ora non può accenderlo neanche!”
Suo marito?
“È un artigiano, ha un laboratorio per riparare elettrodomestici. Sabato mattina, 22 febbraio, ha aperto, poi a mezzogiorno ha tirato giù la serranda per riaprila il 9 marzo. Ha preferito restare chiuso e non andare nemmeno a domicilio dai clienti. Poi dopo il peggioramento della salute del papà è rimasto a casa. Le serrande abbassate davano il senso di un paese chiuso per virus”.
Qual è la giornata tipo del “metodo Codogno”?
“Secondo me ha insegnato molte cose quest’esperienza. Non ho mai passato tanto tempo con la mia famiglia, è stato bellissimo! Con tutta la paura del virus, dell’aggiornamento sui contagiati e sui morti, della situazione di mio suocero. Ci siamo ritrovati, tutti e quattro insieme, per passeggiate, partite di basket. Il meteo è stato un nostro alleato, un sole splendido. Nessuna autorità ci ha barricato in casa. Siamo stati attenti a evitare assembramenti e vicinanza con altre persone. Tutti a Codogno abbiamo rispettato queste regole. Certo, c’è stato un grande sacrificio, la gente si domanda quando potrà tornare alla vita di prima. Ma poi ti abitui e, quasi, ti senti protetta. Tu e la tua comunità”.
Cosa le è mancato di
più in questo periodo?“Il caffè al bar con gli amici dopo aver portato mio figlio a scuola! Oltre, ovviamente ai mitici biscotti del centenario tipici di Codogno! Speriamo di poter tornare presto a rimangiarli!”
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