Picchiata, abusata, segregata e umiliata. Fino al punto di dover subire ispezioni nelle parti intime da parte della madre, che voleva accertarne la verginità. È l'ultimo caso, che questa volta coinvolge una ragazza marocchina, di violenza ai danni di giovani donne, che fanno parte di famiglie musulmane emigrate e vogliono vivere all'occidentale. Ma questa ragazza non è l'unica a dover subire tali trattamenti dalla propria famiglia. Come lei ce ne sono altre. La loro unica colpa? Quella di aver voluto studiare, uscire con gli amici, indossare pantaloni e magliette, come i ragazzi del Paese in cui vivono. Come i giovani italiani.
Si tratta di bambine, ragazze e donne che si sono ribellate ai dettami del fondamentalismo islamico e, per questo, punite. A volte anche a costo della vita. Sono tutte le Saman senza nome che, proprio come la ragazza diciottenne che sarebbe stata uccisa dai famigliari perché voleva ribellarsi al matrimonio combinato, subiscono minacce e violenze da parte di chi dovrebbe proteggerle. A loro ha dato voce la giornalista Annalisa Chirico nel suo ultimo libro, Prigioniere. Saman e le altre (Piemme), che a ilGiornale.it ha spiegato: "Le Saman senza nome sono tante e vanno difese".
Il titolo del libro parla di “prigioniere”. Di chi o di che cosa?
"Sono prigioniere delle loro famiglie e del fondamentalismo islamico. Vivono come anime clandestine nel nostro Paese, spaccate a metà: da un lato c'è quello che vorrebbero essere e che l’Occidente promette loro, dall'altro la canea di proibizioni e divieti che le famiglie impongono loro nel nome di Allah".
Per questo vogliono ribellarsi?
"Queste ragazze sono, oggigiorno, le più tenaci paladine dell’Occidente: hanno una piena consapevolezza di quanto preziose siano le libertà di noi occidentali che forse, per abitudine, tendiamo a darle per scontate. Poter amare la persona che si vuole, indossare un paio di jeans attillati o uscire di casa con le unghie laccate di smalto sono comportamenti per noi finanche banali, eppure per queste giovani donne significa rischiare la vita".
Come Saman...
"Saman è stata una ragazza coraggiosa: sapeva che la famiglia tramava contro di lei, sapeva che tornare sotto lo stesso tetto avrebbe comportato rischi enormi, ma voleva recuperare i propri documenti per tagliare per sempre i ponti con quella realtà familiare che la teneva segregata in casa. Saman non abbiamo saputo difenderla. Se, dopo l’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo dicevamo Je suis Charlie, oggi non possiamo che dire Je suis Saman".
Qual è la colpa attribuita a queste ragazze dalle loro famiglie?
"L’onore perduto, un’onta per l’intero clan familiare. Queste giovani donne hanno la colpa di voler vivere all’occidentale, secondo gli usi e i costumi degli infedeli. Nell’Islam fondamentalista, il mondo è diviso in bene e male, tra chi rispetta l’ortodossia e chi, in quanto infedele, va raddrizzato e punito. Il problema è l’Islam fondamentalista, che considera il corpo delle donne una proprietà e le donne che vogliono vivere all’occidentale come esseri corrotti e ontologicamente inferiori, meritevoli di una punizione esemplare. L’Islam è l’unica religione per cui rischi la vita per apostasia. Se parli male del Dio cristiano o del Buddha non rischi la vita. Se parli male di Allah, finisci sotto protezione".
C’è una differenza con il femminicidio?
"Negli omicidi commessi da uomini abbandonati o malati di gelosia c’è un movente passionale, psicologico. Nel caso della segregazione imposta alle giovani, che talvolta culmina nella violenza e addirittura nell’eliminazione fisica, prevale una componente religiosa. Non agisce un singolo uomo, ma un intero clan familiare che si attiva contro il componente colpevole di aver macchiato l’onore di tutti. C’è una cornice religiosa che, attraverso una interpretazione fondamentalista dei testi sacri, giustifica e addirittura supporta tali scelleratezze. Nei casi come quello di Saman, le madri sono spesso complici del regime di vera e propria prigionia, imposto dal patriarcato islamico".
Oltre alla vicenda di Saman, ci sono altre storie di ragazze uccise?
"Negli ultimi tre anni, 22 ragazze di origine islamica sono state eliminate in contesto familiare. Quante sono le Saman senza nome, che non sanno a chi chiedere aiuto, a chi rivolgersi? C’è una tragedia di cui nessuno parla, anche perché è scomodo farlo".
Perché?
"Nessuno vuole essere accusato di omofobia e razzismo. Ma io ho voluto correre questo rischio, perché penso che si debba strappare il velo dell’ipocrisia e chiamare le cose con il loro nome. L’Islam ha un problema con le donne, punto. Nel nostro Paese, le procure, i centri antiviolenza, le case-famiglia e i servizi sociali hanno a che fare con storie di giovani e giovanissime ragazze che chiedono aiuto. Purtroppo le risorse sono sempre scarse rispetto alla domanda di intervento. Ricordiamoci che, tre anni fa, l’Italia ha dovuto approvare una legge per bandire i matrimoni forzati. Non è certo un problema delle italiane".
Questa reticenza a parlarne può essere anche dovuta al fatto che il tema è spesso percepito come lontano?
"Lo avvertiamo come lontano da noi, perché si tratta di anime clandestine, che vivono rinchiuse nelle loro case e non possono socializzare con nessuno che non sia un membro della famiglia. Talvolta vengono addirittura ritirate dalla scuola".
C’è qualcosa che potrebbe essere fatto per affrontare il problema?
"Da una parte bisognerebbe sostenere le frange modernizzatrici dell’Islam e, da questo punto di vista, aiuterebbe una maggiore trasparenza da parte dei centri di culto. Vuoi pregare? Lo fai in italiano. Dall’altra parte l’integrazione di chi vive in Italia deve essere effettiva. C’è un gigantesco problema con le sacche di immigrazione proveniente dai Paesi arabi che non si integrano e non vogliono integrarsi. Costoro pensano di poter approfittare del nostro Paese, di un’economia più florida e di salari più alti, perpetuando a Milano o a Padova i medesimi costumi dei Paesi di origine. Chi vuole stare in Italia deve rispettare la Costituzione e i suoi valori fondamentali, a partire dalla parità tra uomo e donna, altrimenti va rispedito da dove viene".
Una relazione pacifica tra Islam e Occidente è possibile?
"È possibile. Israele, pur con non poche difficoltà, è un paese multietnico, gli arabi israeliani attualmente sono rappresentati nel governo guidato dal primo ministro Bennett. Con Trump alla Casa Bianca inoltre, il governo israeliano, all’epoca guidato da Netanyahu, ha firmato gli Accordi di Abramo, normalizzando le relazioni con diversi Paesi islamici, a partire dagli Emirati Arabi Uniti. Gli scambi tra le persone, al di là del credo religioso, favoriscono la diffusione di modi di vivere e di agire, di concepire i rapporti tra i sessi e non solo. Bisogna proseguire lungo la strada di dialogo e dell’apertura verso l’altro".
Tornando alle donne in Italia, le parole dell’imprenditrice Elisabetta Franchi dimostrano che neanche per noi le cose sono facilissime.
"Non esiste un aut aut tra l’essere madre e lavoratrice. Non siamo più nell’Età della Pietra, possiamo lavorare e occuparci dei figli, insieme ai padri. La genitorialità va condivisa. I Paesi nordeuropei sono più avanti, l’Italia soffre la carenza di asili nido e di politiche a supporto della natalità. Per il resto mi lasci dire che noi donne siamo notoriamente multitasking, possiamo metter su famiglia e lavorare anche prima degli 'anta'".
Lei però non ha raggiunto gli anta e non ha figli.
"Forse non ho trovato l’uomo giusto, chissà".
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