Il cosiddetto «voto utile» è uno degli argomenti che vengono più utilizzati in campagna elettorale: l'espressione sta ad indicare il ragionamento con cui si tenta di spiegare all'elettorato, specie quello di opinione, che votare questo o quel partito conta o è del tutto ininfluente ai fini della scelta del governo. In una strana campagna elettorale in cui, per errori nel campo della sinistra, tutti danno per scontata la vittoria del centrodestra di «voti inutili» ce ne sono di diversi tipi. Per l'elettore non militante che senso ha votare Pd, ad esempio, quando lo stesso Enrico Letta contempla come massimo obiettivo non il governo ma quello di diventare partito di maggioranza relativa? Magari, invece, un'utilità la possono trovare i percettori del reddito di cittadinanza ad appoggiare i 5stelle per garantirsi lo stipendio stando in poltrona anche in futuro. E in misura diversa quelli che simpatizzando per il «terzo polo» si illudono che al centrodestra manchi qualche voto in Parlamento per rientrare in gioco: certo visti i sondaggi la loro scommessa equivale a vincere al Superenalotto con una schedina da due euro.
Così, a ben vedere, il «voto utile», cioè il voto che può influenzare profilo, politica e scelte del prossimo governo, ha un senso solo nel campo del centrodestra. Uno schieramento composto anche da forze populiste, sovraniste, con un baricentro sulla carta spostato a destra che sconta, in alcuni suoi soggetti, una certa diffidenza a livello internazionale ed europeo: ad esempio la Meloni aderisce al partito dei conservatori europei e va a braccetto con gli spagnoli di Vox, mentre Salvini si accompagna con la Le Pen. Scelte legittime di partiti che hanno visto naufragare negli anni della pandemia il sogno dell'Italexit ma che mantengono sempre un tasso di euroscetticismo o di tiepido atlantismo. Contenuti che non aiutano i rapporti con le grandi famiglie europee, socialisti e popolari, quelle che davvero contano in Europa, in un momento in cui le scelte importanti - vedi sul gas -si prendono tutte a Bruxelles.
In un quadro del genere ci sono due opzioni che possono caratterizzare il prossimo esecutivo semmai il centrodestra vincesse le elezioni. Chi vuole un governo di destra, con una presenza moderata, di centro di pura testimonianza, animato da un europeismo neofita o poco convinto, può scegliere Fratelli d'Italia o Lega. Chi, invece, preferisce un esecutivo di centrodestra radicato in Europa e nell'alleanza atlantica, in cui ci sia spazio per i valori liberali può prendere in considerazione Forza Italia - magari «turandosi il naso» per citare il fondatore di questo giornale - per renderla determinante nella formazione della maggioranza di governo e in grado di svolgere una funzione di garanzia sul piano della politica economica, nei rapporti con la Nato e con l'Europa. Delle due l'una. Un'alternativa non c'è.
Ora uno può dire ciò che vuole ma la partita delle prossime elezioni si svolge tutta in questo scenario. Se voti a sinistra puoi aiutare Letta a restare in sella al Pd o, invece, disarcionarlo. Se ti fai ammaliare da Conte puoi garantire una legislatura e lo stipendio da parlamentari ad un'altra generazione di 5stelle. Se guardi al terzo Polo puoi dare una prospettiva a Calenda e Renzi ma solo per il futuro.
Ma se guardi all'oggi, se devi dare una risposta adesso e non domani alle incognite e alle emergenze del presente devi scegliere tra un governo di destra o di centrodestra. Tertium non datur. E nella seconda opzione c'è il senso del «voto utile» per Forza Italia. E la sua funzione.
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