Mark Zuckerberg, martedì scorso in un video, ha detto delle cose terribili. L'uomo che ha inventato e gestisce Facebook e Instagram, che coinvolgono quasi 4 miliardi di persone in giro per il mondo, ha dichiarato che la sua edicola globale, la sua bacheca, non farà più censure. «Ho intenzione di ripristinare la libertà di espressione».
Fermi tutti: la notizia è ciò che ha ammesso di aver fatto, non ciò che promette di fare. È come se il capo della polizia dicesse: da ora in poi non torturiamo più. O il capo del governo affermasse in tv: dal 2025 non ruberemo più un dollaro. In cinque minuti di video ha confermato tutti i pregiudizi che chiunque frequenti quelle piattaforme nutre. Ma nessuno poteva credere fino a quale punto fosse stata pianificata nel dettaglio questa gigantesca censura.
La rete dei social per anni non ha dato spazio, ha cancellato e ha persino espulso dalla bacheca chi avesse idee non mainstream sul Covid, sul riscaldamento climatico, su Trump, sull'immigrazione clandestina, sulle teorie gender. La sinistra globale ha potuto contare su una macchina globale di propaganda che fingendo di essere aperta a tutti, rendeva visibili solo contenuti graditi. Era quanto sospettava Musk, quando comprò Twitter per ripulirlo dalla censura. E i soliti lo derisero. Ma è esattamente quanto ha ammesso l'inventore di Facebook, che convertito sulla via di Trump, ha abbandonato il gauchismo politicamente corretto globale e ha gettato la maschera.
Zuckerberg ha spiegato per filo e per segno come funzionasse questa censura. Per prima cosa ha ammesso, come abbiamo già detto, di aver limitato la libertà di espressione. E poi ha denunciato gli strumenti che utilizzava per raggiungere questi perversi fini. I primi sono i cosiddetti fact checker. Degli oracoli che stabilivano cosa fosse vero e cosa fosse falso. Giudici senza regole. Una follia solo immaginarli. Zuckerberg è stato spietato: li cancelleremo, sono troppo politicamente orientati. Sarebbe paradossale ora richiedere un fact checking su quello che ha detto Zuck ai nostri due «censori-oracoli» domestici: Pagella politica e Open. Interessante se bollassero ciò che ha detto il loro committente (Facebook) come una fake news.
Facebook e Instagram avevano inoltre costruito un team interno di censori che su temi come immigrazione e questioni gender ponevano troppe restrizioni. Il pentimento continua a svelare la cattiva coscienza del passato. Questi team, con meno potere, verranno spostati dalla California, Stato democratico e patria del politicamente corretto, al duro e repubblicano Texas, dove girano con i cappelli da cow boy. Se fino a ieri pubblicavate su Instagram la prima pagina dell'Unità degli anni 60 che titolava «Caldo killer», ve la toglievano dalla bacheca, poiché «fuori contesto»: non si sa mai che si mettesse in discussione la religione climatista. Provate a pensare cosa succederà se a giudicare non sarà più un fighetto della California, ma un cappellone del Texas.
Zuckerberg ne ha per tutti. Anche per l'Europa. Un continente in cui è difficile innovare, dice nel suo video, perché le istituzioni si occupano più di limitare e censurare che di sviluppare. Un po', aggiunge il capo di Facebook, ciò che è avvenuto negli ultimi quattro anni negli Stati Uniti.
Ieri in molti si sono concentrati sulla repentina svolta trumpiana dell'idolo dei progressisti e sul suo ammiccare alla filosofia di Elon Musk.
Il punto è che martedì il più importante mezzo di informazione globale ha ammesso di aver manipolato la libertà di espressione, di aver creato degli specialisti della censura, confermando i peggiori pregiudizi che i paria della rete denunciavano da tempo.
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