In un vecchio pennellificio milanese rimesso a nuovo ha aperto un paio di mesi fa un ristorante che a mio avviso farà parlare molto di sé. E’ al numero 177 di via Varesina, in quella zona che si chiama Certosa District e che nelle intenzioni degli investitori diventerà nei prossimi anni una nuova centralità della metropoli e si chiama Abba, la parte iniziale dello chef e patròn Fabio Abbatista, che con l’apertura di questo locale realizza il sogno di avere un locale tutto suo e proprio come lo voleva lui (mi racconta di aver rifiutato melte differenti location da lui ritenute inadeguate), dopo anni trascorsi in molte grande cucine del mondo. Pugliese di Molfetta, 47 anni, Abbatista ha infatti lavorato tra gli altri con Stefano Cavallini, Alain Ducasse e Philip Howard a Londra, a Le Gavroche con Michel Roux. A Milano era arrivato al seguito di Fabio Baldassarre (un talento troppo presto dimenticato) per aprire Unico, il primo ristorante su un grattacielo, premiato con una stella Michelin dopo pochi mesi. E poi va messa in conto la grande esperienza come executive chef all’Albereta in Franciacorta.
Grandi esperienze che però non hanno dato ad Abbatista la possibilità di esprimersi pienamente. Cosa che fa oggi da Abba e, a giudicare dai risultati, questo è motivo di rammarico per non avere potuto testare prima la sua libertà creativa. Da Abba si parte da ingredienti di assoluta eccellenza (i piselli nani di Zollino, la lenticchia nera di Enna, le farine biologiche di farro, segale e frumento macinate a pietra che arrivano dal Mulino Giudici Pietro di Cerete, nella bergamasca, con cui Abbatista realizza uno dei migliori pani che mi sia stato dato di assaggiare negli ultimi tempi in un ristorante non solo a Milano, l’olio del frantoio pugliese Ciccolella. E ho fatto solo qualche esempio) che vengono trattati con rispetto e consapevolezza a formare un percorso di rara coerenza che si esprime in piatti puliti, rigorosi, che però non perdono mai di vista il sapore. L’impressione è che ogni cosa arrivi a tavola dopo un lungo percorso di semplificazione, di eliminazione di ogni dettaglio superfluo in modo che però il cliente possa goderne appieno senza far caso a tutto questo lavoro, ciò che alleggerisce anche concettualmente il percorso.
Due sono i menu proposti da Abbatista, coadiuvato in cucina dal sous chef Andrea Vismara: 0,1 e 0,2, come il calibro dei pennelli, ciò che evoca il genius loci. La gran parte dei piatti sono comuni alle due carte, ma il primo (110 euro) ha qualche episodio in più del secondo (90 euro). Io ho iniziato con due amuse bouche che mi hanno decisamente ben disposto (Crespella croccante di riso e piselli di Zollino e Spiedino di cozze, lardo e susine), poi il primo innamoramento con il Barattiere, un melone imparentato con il cetriolo il cui gusto delicato e verde viene esaltato dall’essere presentato come una granita, accostata a una salsa alla mandorla. Bum! Quindi una carnosissima Melanzana ai carboni e cacioricotta che dimostra plasticamente la predilezione di Abbatista per gli elementi vegetali. Più interlocutori (ma è anche questione di gusti personali) i Ravioli al grano arso, testina di vitello e seppie, mentre si risale a livelli altissimi con il Lavarello con lenticchie nere e curcuma, un piatto di notevole equilibrio. Poi la “Bistecca” di pomodoro, in cui il vegetale si prende la scena lasciando alla componente della proteina animale (il midollo di vitello cotto alla brace dell’azienda agricola Carlo Alberto) un ruolo di comprimario ancorché decisivo per la riuscita del piatto. Si chiude la parte salata con il Manzo alla brace, noci e crescione. La parte dei dolci, affidata al pastry chef Giuseppe Bescapé, prevede Fichi, ricotta montata e fava tonka, poi al notevole Soufflè alla nocciola e gelato al burro salato, infine a una deliziosa Focaccia dolce con agrumi e zafferano che sembra arrivare dalla credenza della zia (la nonna un po’ ci ha stancato).
Come detto rimarchevoli i pani: prima una Focaccia pugliese senza pomodori ma con le patate a dare consistenza, quindi un Pane con farina di farro, frumento e segale che mi ha costretto a far fare gli straordinari al mio stomaco intingendolo più e più volte nel magnifico olio.
La cantina conta un numero ancora abbastanza limitato di etichette (circa 150), che però sono bene assortite e ben presentate in una carta di rara pulizia grafica. Forse manca un po’ di racconto, ma siamo ancora in fase di rodaggio. Così come per il servizio, attento ma ancora un po’ da oliare. Il posto è bellissimo, tra i più belli di Milano. Una sala chiara, luminosa, con colori naturali e materici, minimalista ma al contempo calda (è possibile, evidentemente), che di giorno è allagata dalla luce che arriva dalla strada e di sera assume un aspetto più intimo.
Un luogo che merita grande successo e che speriamo non verrà penalizzato dalla zona in cui si trova, un po’ lontana dal centro. Ma le cose migliori, si sa, vanno scovate.Abba, via Varesina 177, Milano. Aperto dal martedì al sabato a pranzo e a cena, chiuso la domenica e il lunedì.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.