L’Abruzzo a Milano è in via Valtellina

Ha aperto da poco Orsetto d’Abruzzo, una trattoria con la cucina ruvida e sincera di una delle regioni più sottovalutate d’Italia. Arrosticini di pecora, Pallotte cacio e ova, Timballo, Pepentun e ‘ov e tanti altri piatti in cui domina il sapore. L’ambiente è allegro e familiare. E il titolare Domenico Ciotti studia per diventare un bravo oste

L’Abruzzo a Milano è in via Valtellina
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L’Abruzzo è una delle regioni più sincere (e trascurate) d’Italia. La sua cucina è fatta di sapori forti e ruvidi che è piacevole trovare in una città come Milano che indulge spesso più alla forma che alla sostanza. Ed è invece ricco di sostanza un locale come Orsetto d’Abruzzo, aperto poche settimane fa al numero 10 di via Valtellina, nel quartiere Farini che è tra quelli che si preparano a esplodere in una città in continua trasformazione. Secondo molti Farini sarà la nuova Isola, che non è molto distante, e tra coloro che mostra di credere a questo quartiere separato dal resto della città dalla ferita della ferrovia, c’è Domenico Ciotti, 32 anni di Sulmona, che ha replicato all’ombra della Madonnina l’omonimo locale aperto con successo a Bologna. Anche se la sfida milanese è certamente più ardua.

Orsetto d’Abruzzo è una trattoria piacevole, informale, arricchita da molti dettagli di arredo riciclato. C’è una carta geografica in rilievo appesa a un muro, di quella che si usavano nelle scuole negli anni Settanta del secolo scorso, cartelli stradali, un piacevole bric-à-brac che mette allegria. I colori sono caldi e inducono al comfort, la cucina è a vista (forse ci sarebbe stato bene un bancone), i tavoli scarnamente apparecchiati (non è posto da tovaglia bianca) e c’è anche un déhor. La carta è organizzata come fosse un giornale ricco di informazioni sul territorio, e rende la lettura decisamente divertente. Il tutto fa dama con la proposta gastronomica, che nobilita i piatti più tipici della cucina abruzzese con ingredienti di altissimo livello ed esecuzioni pulite ma senza paura del sapore.

Io sono stato benissimo e me la sono spassata dimenticando per una sera il contegno del fine dining. Ho iniziato con Pizz’e foglie, una focaccia di mais cotta alla brave e ripassata con cicoria: robusta ma delicata al contempo. Poi la classica Pallota cacio e ova, una polpetta di formaggio e uova fritta e stufata nel sugo. Quindi un assaggio del Fritto mistico, pasta ricresciuta e cacio fritto. Tra i primi la notevole Tagliatella al ragù bianco di pecora (mi sarebbe piaciuto provare anche il Timballo abruzzese: la prossima volta). Infine i Pepentun e ov’ - uova strapazzate e peperoni arrosto ripassati - ad accompagnare, assieme a certe buone Patate del Fucino cotte con la buccia al forno, ad accompagnare alcuni Arrosticini di carne di pecora. Tra le altre proposte il Tagliere forte e gentile, con salumi e formaggi della valle scannese, gli Gnocchi alla scannese, la Chitarra alla cococciara con zucchine, pecorino, basilico e zafferano, il Pollo ai carboni cotto lentamente con timo e rosmarimo, l’Agnello alla brace. C’è anche una piccola selezione di dolci ma io ero sazio e non li ho provati.

Tutto buono e a prezzi assai concorrenziali per Milano: spenderete tra i 32 e i 35 euro, ma uscirete sazi e soddisfatti come non sempre accade in città.

Inoltre non c’è il coperto (“il coperto in Abruzzo non esiste e qui sei in Abruzzo”, si legge). Naturalmente c’è una piccola selezione di vini abruzzesi: bianchi, cerasuoli e rossi. Servizio giovane e garbato, e Domenico in giro a studiare da oste. Bravo.

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