Lido 84, come si mangia nel migliore ristorante italiano secondo la Fifty Best

Ho provato il locale di Gardone Riviera, dodicesimo al mondo secondo la più autorevole lista annuale del settore. E’ il sogno di due fratelli, Riccardo Camanini in cucina e Giancarlo in sala, partiti dieci anni fa tra mille sacrifici e oggi anime di un posto di straordinaria accoglienza. Il percorso gastronomico è colto e profondo e ha episodi memorabili come il Rigatone cacio e pepe cotto in vescia

Lido 84, Giancarlo e Riccardo Camanini
Lido 84, Giancarlo e Riccardo Camanini

Lido 84 è un caso a parte nell’alta ristorazione italiana. Ristorante di culto per molti dei critici e degli appassionati, nonché prima insegna italiana secondo la lista dei World’s Fifty Best Restaurants, che lo piazza al dodicesimo posto nel mondo, è invece decisamente sottostimato dai soloni della guida Michelin, che gli attribuiscono soltanto una stella, di fatto stabilendo che ci sono almeno 52 altri ristoranti (14 tristellati e 38 bistellati) che vale la pena provare prima. E non v’è chi non pensi che nella scelta dei “gommisti” francesi vi sia un certo puntiglio nel penalizzare un locale che è diventato un po’ l’emblema di una filosofia critica concorrente e controcorrente rispetto alla rossa. E si sa che dalle parti di Parigi sono piuttosto permalosi.

Lido 84, la preparazione della Cacio e pepe in vescica

Ora, roso dal dubbio (avrà ragione la Fifty Best o la Michelin, o forse il Gambero Rosso, che inserisce Lido 84 nell’élite italiana attribuendogli un punteggio di 91 centesimi, che la piazza al 25esimo posto a pari merito della classifica?) sono andato a Gardone Riviera, in quel tratto molto dannunziano della sponda lombarda del Garda, con il Vittoriale lì vicino, a verificare di persone. E devo dire, autospoilerando la mia recensione, che sono decisamente più vicino alla visione della Fifty Best che a quella della Michelin. E vi spiego perché.

Lido 84, la sala

Lido 84 è un ristorante che nasce una decina di anni fa dall’idea di Riccardo Camanini, bergamasco di un altro lago, l’Iseo, classe 1973, di mettere a frutto le sue esperienze che comprendevano Alain Ducasse, Raymond Blanc e soprattutto Gualtiero Marchesi, aprendo un locale tutto suo in riva al Garda. Gli inizi non sono facili: i soldi sono pochi, il personale scarso e Riccardo convince il fratello Giancarlo, manager di una grande azienda, a spalleggiarlo e quest’ultimo inizialmente fa il doppio lavoro, di giorno in azienda e di sera uomo di sala. In pochi anni diventerà uno dei migliori in Italia nel servizio e sì, nel frattempo ha lasciato il suo lavoro manageriale e francamente siamo grati al destino che ha deciso così. Perché Giancarlo è davvero il 50 per cento, anzi, il 42 del Lido 84, e non è una frase detta per dire. Senza di lui l’esperienza non sarebbe quello che è, ne sono certo.

Lido 84, la cucina

Veniamo alla mia cena. Il locale si trova in un piccolo parco, seminascosto rispetto al livello della strada. C’è una sala grande, arredata con gusto familiare, da salotto elegante, io mi accomodo in uno dei tavoli davanti al lago, che brilla nel buio oltre la vetrata, dopo scoprirò che c’è anche una dépendance, detta La Torre, trasformata in una sala privata prenotabile a parte per massimo quattro commensali, particolarmente curata e con il plus di un giradischi anni Settanta su cui suonare gli lp messi a disposizione da Riccardo e Giancarlo o, volendo, quelli portati dal cliente da casa. Idea magnifica, i dettagli sono i mattoni con cui è costruito il paradiso (o l’inferno, nel caso).

I menu sono due, entrambi denominati Oscillazioni, a dare il senso di un movimento continuo attorno a un asse. Il primo è dedicato alla Storia del locale, con i piatti che hanno fatto furore (tra essi lo Spaghettone con burro e lievito di birra che è stato addirittura esposto al MoMa di New York, il Riso con aglio nero e frutti rossi, l’Animella di vitello con rum, miele e senape all’antica), il secondo non ha invece punti di riferimento, è un viaggio estemporaneo nel tormentato percorso di ricerca di Riccardo e richiede da parte del cliente curiosità e fiducia. Io ho secchiate di entrambi e vengo ripagato con una sfilza di piatti memorabili, che compongono alla fine un percorso a cui ho provato ad appiccicare un’etichetta senza riuscirci. Di certo l’espressione di una cucina colta, profondamente ragionata e studiata, tecnica ma senza inutili gestualità, legata al territorio e al contempo contemporanea nel modo in cui in una ricetta confluiscono gli stimoli dettati dalla memoria, dalla storia personale, dal momento storico, da come l’umanità è e da come dovrebbe essere.

Difficile spiegare, quindi meglio se commento qualche piatto. La Seppia con topinambur e burro di anguilla affumicato è un oggetto in apparenza misterioso che si manifesta con una consistenza e un profumo di incredibile intensità, L’Anguilla, fritta con leggerezza e con cavolo viola, nigella e spinacio rosso, è di grande complessità e con tanti sapori che spingono in tante direzioni diverse trovando un equilibrio ad alta quota. Il gioco di mimetismo della Pasta al forno ripiena con gamberi, peperone crusco, broccoli, curry verde e combawa inaugura il discorso sulle paste che Camanini, in controtendenza rispetto a molta parte dell’alta cucina italiana, cura particolarmente: notevole come la Pasta riccia con fegato di cannolicchio, sesamo tostato e peperoncino e come gli Agnolotti di coda di bue con miele, anice stellato, erbe amare, capperi, sedano e pepe sansho, un piatto comfort e al contempo sofisticato, con una nota erbacea e mentolata sensazionale. Poi ancora nel ramo pasta ecco i Rigatoni cacio e pepe, il piatto più celebre di Camanini, cotti senza liquidi nella vescica che viene aperta davanti al cliente. Classico esempio di piatto semplice per il cliente, che si gode una cacio e pepe di assoluta ortodossia romana, ma complesso nello studio e nella tecnica. Peraltro la cottura insolita rende ogni rigatone differente dall’altro in termini di “dentezza”, ciò che rende il piatto anche fonte di continua sorpresa. Infine il Fusillo 84 h, altro virtuosismo tecnico: viene cotto 84 ore, ovvero sette cicli da 12 ore alternando forno a 85 gradi e frigorifero a 3, ciò che lo rende digeribilissimo. E il bello è che in cima a tutto questo, è usato come contorno di un piccione con foie gras, con una mostarda di datteri e Lagavulin a legare il tutto. Un gusto, va detto, a tratti un po’ troppo intenso almeno per me. Unico mezzo passo falso in una collana di perle, tra le quali la Verza con cumino, aceto di pino mugo e avocado, il Maialino con broccolo fiolaro, curry, combawa, mozzarella e kumquat, il Germano reale con porri, miso di pane e orzo, limone nero e cavolo corsaro rosso. Infine i dolci: per me una Crema di zucca con fava tonka, crema di marzapane, timo e chips di zucca con seorbetto di clementina e cialda croccante di semi di zucca, prima di qualche blandizie finale.

Carta dei vini bella sia nel contenuto sia nel contenitore, servizio soave (oltre a Giancarlo, magnifica Marzia), l’attenzione a ogni aspetto della serata è davvero peculiare.

Il menu da me degustato costa 140 euro nella versione da sette passaggi e 160 in quella da nove e i Rigatoni cacio e pepe possono essere aggiunto per 20 euro, come il Rognone al torchio che riprende una antica ricetta di Apicio (non l’ho provato ma qualcuno me ne ha parlato meravigliosamente) a 90 euro per due persone. E dalla lunghezza di questo pezzo potete arguire quanto mi sia piaciuta la mia serata al Lido 84 e quanto mi piacerebbe che qualcuno che mi legge possa un giorno andarci.

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