“Penso che si veda che ho fatto il pugile”: così mi disse Tullio Pironti una quindicina di anni fa, quando ebbi occasione di parlargli prima di un’intervista per TeleVomero. La faccia che sembrava una pergamena dove era scritta una vita che era di per se stessa un’opera letteraria. Una storia che la biografia “Libri e cazzotti”, curata dal giornalista Mimmo Carratelli nel 2005, restituisce nelle sue fasi: tante vite in una sola esistenza. Pironti era nel suo regno, la libreria di piazza Dante, Port'Alba, pieno centro di Napoli, inizio del “miglio d’oro” dell’editoria italiana. Tanto per capirci, la storica libreria Guida era una manciata di metri più su.
Ieri Pironti se n’è andato a 84 anni, tradito da un cuore che ha pompato sempre al massimo passioni autentiche e totalizzanti: il pugilato, la letteratura e Napoli. Perché uno più napoletano del pugile-editore Pironti è difficile da trovare: venuto al mondo nel 1937 nel cuore storico dei Tribunali, cresciuto tra quei vicoli come tanti scugnizzi della sua generazione, quella che ha attraversato gli anni del secondo dopoguerra, discendente di una famiglia di librai, di artigiani dell’editoria. Tra i suoi avi il patriota irpino anti-borbonico Michele Pironti, che fu prima compagno di cella di Luigi Settembrini e Carlo Poerio e poi ministro della giustizia nel 1869 con il governo del conte Menabrea. Non sembri assolutamente una deminutio l’espressione che usò Indro Montanelli per ricordare un altro grande editore italiano, Valentino Bompiani: artigiano delle lettere sta a indicare una passione civile e l’idea che i libri potessero far progredire le comunità attraverso la curiosità e l’educazione alla lettura. Pironti puntò in epoca insospettabile su alcuni scrittori americani come Breat Easton Ellis e Raymond Carver o sull’egiziano Nagib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura nel 1988. Tullio Pironti era diventato una promessa del ring da giovanissimo. Poi le porte scorrevoli della vita lo avevano portato a fondare nel 1972 la casa editrice con il suo nome. La Tullio Pironti Editore avrebbe spaziato dalla saggistica alla narrativa, conquistando tra i suoi aficionados anche personalità come Fernanda Pivano e lanciando giornalisti come Joe Marrazzo (il suo Camorrista del 1983 sul boss Raffaele Cutolo ha segnato un’epoca). Oggi Napoli non piange solo un suo figlio prediletto, ma un cuore pulsante della filiera della cultura di cui la capitale del Mezzogiorno è giustamente orgogliosa e gelosa: case editrici, istituti di studi (filosofia e storia), fondazioni, università (si pensi all’Orientale). Ed è questo patrimonio inestimabile che Napoli dovrà custodire e rinnovare per proiettarsi in una dimensione futura.
Altro lutto in un’altra istituzione napoletana: il Gran Caffè Gambrinus di piazza Trieste e Trento, salotto antico della città. Infatti se n’è andato a 76 anni lo storico barista Giovanni Fummo. Aveva iniziato a lavorare nel tempio della tazzina nel 1952, ancora bambino. Da “battente” addetto alla pulitura delle tazzine aveva scalato la piramide gerarchica del bancone fino al ruolo di capo macchine del caffè. Quando aveva tagliato il traguardo delle 12 milioni di tazzine servite al Gambrinus, avevano organizzato una festa in suo onore. Tra i suoi clienti 4 Presidenti della Repubblica (Scalfaro, Cossiga, Ciampi e Napolitano) e il presidente USA Bill Clinton durante il G7 del 1994. Ma Fummo era lì anche a ricevere il saluto di Papa Giovanni Paolo II che sostò sulla “papamobile” per alcuni minuti proprio davanti al Gambrinus durante la visita pastorale a Napoli nel 1990. Fummo ha tramandato la sua arte di maestro della tazzina a generazioni di baristi.
Oggi è un
giorno di lutto. Ma se c’è una cosa che Napoli possiede geneticamente è la capacità di elaborare la sua tradizione di continuo, senza perderla di vista. E, statene certi, ci saranno altri cazzotti, altri libri, altri caffè.
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