La cultura moderna? Nata dagli editori pirata

Lo storico Robert Darnton nel nuovo saggio ricostruisce la lotta per il diritto d'autore

La cultura moderna? Nata dagli editori pirata

C'è stata un'epoca (felice?) in cui editoria faceva rima con pirateria e coi libri ci si poteva arricchire, più spesso rovinare, di sicuro finire in galera se si stampava un titolo troppo scomodo per lo Stato, le chiese o il potente di turno.

Quest'epoca è il Settecento, il secolo dei lumi, ma anche della trasformazione del mercato librario da fatto di nicchia a fenomeno, se non di massa, di media diffusione nella media borghesia sempre più vogliosa di informarsi e di divertirsi.

È l'epoca che racconta lo storico americano Robert Darnton, professore emerito ad Harvard, nel suo nuovo saggio pubblicato in Italia per i tipi di Adelphi e intitolato, appunto, Editori e pirati (pagg. 492, euro 38). Darton è uno dei più importanti studiosi della storia della cultura e ha indagato il versante librario della Rivoluzione francese nonché la diffusione delle idee illuministe. Ha messo in luce come più dei ponderosi saggi dei filosofi à la Voltaire abbiano pesato, nel diffondere le idee libertarie, i pamphlet di basso rango o la letteratura erotica come il pruriginoso romanzo Thérèse philosophe, basti ricordare il suo Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all'origine della Rivoluzione francese (Mondadori). O come la censura sia stata un fatto più complesso o articolato di quanto ci si potesse aspettare: si veda il suo I censori all'opera (Adelphi).

Con questo suo nuovo lavoro vira con forza verso la ricostruzione del versante imprenditoriale della grande rivoluzione culturale settecentesca, una rivoluzione in cui far girare o stoppare i torchi da stampa contava moltissimo. E in cui se non ci fossero stati editori disposti a violare le leggi, librai interessati a vendere libri clandestini e a violare ogni embrionale diritto d'autore difficilmente si sarebbe vista la fine dell'ancien régime.

Ovviamente in questo clima complesso - dove tra Olanda e Svizzera era tutto un fiorire di edizioni clandestine per invadere quello che allora era il mercato più fertile della cultura europea, quella in lingua francese - ci son svariati piani. Il primo è un piano da philosophes in cui si discute di cosa sia il diritto d'autore, quello che gli editori cercavano sempre di farsi confermare con un privilegio dal monarca di turno. I campioni della discussione alta furono da un lato Diderot e dall'altro Kant. Diderot si mise subito dalla parte dello scrittore professionale: «Quale proprietà apparterrà mai a un uomo se un'opera del suo ingegno, il frutto unico della sua istruzione, dei suoi studi, delle sue veglie, del suo tempo, della sua ricerca, delle sue osservazioni... se i suoi stessi pensieri, i sentimenti del suo cuore, la parte più preziosa del suo essere, quella che non perisce, quella che lo rende immortale, non gli appartiene». Kant (nella Metafisica dei costumi) storceva il naso su questa idea di proprietà e vedeva il libro come «l'espressione dei pensieri di un autore che li professa per iscritto attraverso la facoltà della libertà di parola».

Al piano di sotto della discussione? Da un lato gli editori parigini, molto ligi al pubblicare soprattutto testi permessi dalla censura e con relativo privilegio. Dall'altro gli editori e i librai di periferia che preferivano libri vietati e piratare abbattendo i costi quello che veniva stampato con privilegio. Un bel danno anche per gli autori ma anche un indubbio volano per la diffusione della cultura verso il basso. Rompendo anche le regole della censura. E rompendo anche le regole della letteratura perché alla fine quello che gli editori volevano erano lettori paganti. Come scrive Darnton: «A prescindere dai loro personali convincimenti, gli editori erano uomini d'affari e il loro scopo era soddisfare la domanda crescente di libri libri di ogni tipo, non solo quei pochi che la posterità ha accolto nelle storie della letteratura».

Ed è così che si entra nella parte più divertente del volume, quella che ricostruisce le vite dei singoli editori e si avventura nella microstoria. Si incontra di tutto, truffe, torchi sequestrati, editori che invitano a cena l'autore di cui hanno appena piratato l'opera, censori che dicono agli enciclopedisti dove nascondere i volumi per non farseli sequestrare... E molte vedove agguerrite che, armate del titolo di maestro stampatore appartenuto al marito erano, spesso, le più spregiudicate nel provare il colpaccio editoria.

Sembra tutto un romanzo in stile Le illusioni perdute di Balzac, invece è storia compulsata con precisione dagli archivi. In particolare Darnton ricostruisce la storia della Société typographique de Neuchâtel, casa editrice la cui documentazione vastissima è un vero e proprio scrigno del tesoro per capire un'epoca. E alla fine viene da dire: grazie, pirati del libro.

Sarete stati anche spietati affaristi disposti a stampare sia il diavolo che l'acquasanta (per parafrasare un altro libro del Nostro) ma alla fine ci avete regalato un bel pezzo di libertà, anzi ce l'avete venduto in sedicesimo, senza note ma con lo sconto.

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