Renzi, Grillo e Salvini. Sotto il leader niente, men che meno la cultura

La nuova sinistra e il berlusconismo avevano un retroterra di idee. Ora la corsa al consenso è fatta solo di pose. Ma non possono bastare

Renzi, Grillo e Salvini. Sotto il leader niente, men che meno la cultura

Fino a pochi anni fa di ogni fenomeno politico nascente e vincente si cercava e si trovava la corrispettiva matrice culturale e i suoi ispiratori. Si indicavano autori, filoni, opere e intellettuali che fossero il prologo in cielo di quel che stava avvenendo sul terreno politico. L'ultima volta che accadde fu al seguito della cosiddetta seconda repubblica e riguardò la nuova destra e la nuova sinistra, i neoliberali e il berlusconismo, di cui si ritrovarono non solo autori ed esponenti provenienti dal mondo intellettuale, ma anche cospicue tracce di un'egemonia sottoculturale nel regno della tv e dei costumi. Perfino il leader considerato più ruspante e più allergico a una matrice culturale, Bossi, ebbe al fianco della Lega alcuni intellettuali di spessore, a partire da Gianfranco Miglio. Ma Renzi, ma Grillo, ma Salvini, a che cultura civile, se non politica, attengono, quali intellettuali di riferimento, quali idee o perlomeno di quale egemonia sottoculturale sono espressione? L'impressione è che siano autoreferenziali in assoluto, personaggi televisivi prima che politici, cresciuti nel deserto delle idee e che la loro leadership nasca dalla rottura di ogni vaso comunicante, dal dissolversi di ogni ispirazione culturale o anche sottoculturale. Non c'è una nuova post-sinistra dietro Renzi, non c'è un pensiero radicale dietro Grillo, non c'è neanche mezzo Miglio dietro Salvini, almeno in partenza. E questa mancanza di retroterra non produce nei leader e nei loro proseliti alcun disagio, come se fosse inutile, ridondante, ingombrante, del tutto superfluo.

Anche i tecnici, pur provenendo da ambiti accademici, non erano peculiare espressione di una corrispettiva cultura, ma sancivano l'autonomia assoluta e sovrana della tecnica e della finanza rispetto a ogni matrice e a ogni idea.

Del resto, i filoni delle culture politiche sono esausti ormai da tempo e non alimentano alcun progetto di società e politica né alcuna formazione di leader.

L'ascesa di Matteo Renzi è stata così rapida e travolgente da non iscriversi in alcun quadro di riferimento, in alcun alveo di provenienza; semmai una sintesi ad personam di linguaggi e aspettative mutuati dal berlusconismo e tradotti nel centro-sinistra, in una versione scout che ibrida Craxi e Veltroni ma nell'ambito di una radicale destrutturazione della sinistra e di un rilancio fondati su elementi puramente impolitici: il salto generazionale, il ritmo e la velocità, la baldanza adolescenziale, il gergo della fattività e della decisione.

Anche Grillo non ha dietro di sé un pensiero antagonista, semmai la sua decomposizione; tutto spunta con lui e Casaleggio, una specie di continuazione del one man show con altri mezzi, dalla tv alla rete, dal recital al monologo politico, dall'attacco satirico al potere all'attacco politico al potere.

Salvini ha intercettato uno spazio politico europeo, prima che italiano, fondato sul disagio verso l'euro e verso i migranti e sul rude semplicismo delle posizioni nette, e vi si è inserito senza un piano metapolitico precedente o parallelo, ma a fiuto e a orecchio, congelando il retroterra leghista d'origine.

Con qualche sforzo d'immaginazione si potrebbe dire che l'unico vero precursore di Renzi sia Benigni e che vi sia una certa assonanza goliardica nel segno di un ottimismo italo-fiorentino. Benigni cerca da anni di ritradurre la tragedia del presente in un elogio dell'esistente, assumendosi il ruolo brillante di rianimatore istituzionale: la vita è bella anche in un campo di sterminio o nell'inferno dantesco, la Costituzione italiana è la più bella del mondo ed è un piacere conoscerla e osservarla, i Comandamenti rivelano un Dio che forse non esiste ma è tanto premuroso, affettuoso con il creato e ci rende la vita migliore e perfino più felice. Una specie di ottimismo metastorico, di fiducia gioviale nella vita, nei codici, nelle istituzioni. L'ottimismo di Benigni resta nell'ambito della fiction cine-televisiva e letteraria e si rivolge agli italiani per sollevarne il morale e la morale, e mostrare che in fondo alla crisi viviamo nel migliore dei mondi possibili. L'ottimismo di Renzi si proietta nella politica e diventa il suo unico messaggio e contenuto e anche la sua unica legittimazione per governare. Si rivolge agli italiani e baratta l'ottimismo col consenso, come del resto fa Benigni anche se nel suo ambito il consenso si chiama audience. Oltre questa linea rosea fiorentina, con difficoltà riusciremmo a trovare un ambito culturale renziano; non c'è nessuna elaborazione ideale e intellettuale del suo pensiero, nessun pensatoio, è un fenomeno sorto sul vuoto e sul collasso di ogni altro orizzonte politico e culturale. La stessa cosa alla fine dovrebbe dirsi delle opposizioni, del tutto separate da ogni riferimento culturale, compreso il neoberlusconismo che ha perso lungo la strada ogni residuo riferimento culturale (non sono stati sostituiti Baget Bozzo e Colletti, Pera e Martino, Melograni e Urbani, Ideazione). È la prima volta che ciò accade e in modo così totale da comprendere forze di maggioranza e di minoranza, leader di governo e di opposizione. Perfino il partito più pragmatico e più refrattario alla cultura che ha governato per mezzo secolo l'Italia, la Democrazia Cristiana, aveva bene o male un mondo di riferimento, la Chiesa, il Papato, la Conferenza episcopale, le parrocchie, le associazioni cattoliche, la stampa d'ispirazione cristiana.

È difficile però immaginare che la politica come l'antipolitica possano nutrirsi alla lunga solo dei loro leader-istrioni. È presumibile pensare che qualcosa emergerà, sostanzierà o accompagnerà questi fenomeni politici, torneranno con connotati differenti le forme della politica o vi saranno nuove e impensate forme abbinate a contenuti inediti. Quanto potrà sopravvivere la politica alla mancanza di un retroterra? Per quanto esigua, maltrattata e rinnegata, la politica ha bisogno di una cultura alle sue spalle, non può vivere solo sulle performance degli istrioni. La fine politica della destra come della sinistra fu preceduta dall'abbandono di ogni cultura politica e civile di riferimento. In assenza totale e prolungata di cultura la politica degenera, muore o si spegne nelle braccia dell'amministrazione, della tecnica e dell'economia, fino a diventare superflua.

I partiti si riducono alle sagome dei leader ma poi le facce passano, le

battute scemano, sugli istrioni cala il sipario e sulla loro politica scende l'oblio. È la rivincita postuma delle idee, dopo la loro storica sconfitta. Una rivincita serale, dopo il tramonto. Ma la notte porta consiglio...

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