12 aprile 1961, 9.07 ora di Mosca. Dal cosmodromo sovietico di Baikonur, nella steppa kazaka, si leva in volo la capsula Vostok 1 per il primo volo spaziale con equipaggio della storia umana: all'interno della navicella di meno di 2,5 metri di diametro l'uomo destinato a realizzare la versione moderna del sogno di Icaro, Jurij Gagarin, 27enne ex primo tenente dell'aereonautica sovietica selezionato nel 1959 per entrare a far parte del programma con cui Mosca sognava di portare per prima l'uomo nello spazio. Tappa fondamentale di una corsa combattuta con gli Stati Uniti nel pieno della Guerra Fredda e durante la quale, tra il lancio dello Sputnik nel 1957 e il 1975, anno della missione congiunta sovietico-americana e del rendezvous orbitale tra la Sojuz e l’Apollo, l'uomo sulla spinta della competizione bipolare si spinse fino alle nuove frontiere dell'esplorazione del cosmo.
Questioni strategiche, volontà di potenza, interesse scientifico: tanti elementi si condensavano nella partita più simbolica con cui Mosca e Washington puntavano a promuovere i rispettivi sistemi valoriali, produttivi, culturali, tecnologici e a dimostrarne plasticamente la superiorità. Attorno a queste dinamiche estremamente importanti, il fattore umano: il fattore legato alla preparazione personale e al coraggio dei pionieri del cosmo, coloro che aprirono la frontiera infinita dell'esplorazione spaziale. E se la tappa del 20 luglio 1969, data della conquista della Luna da parte dell'Apollo 11, è quella più nota nella memoria collettiva certamente l'episodio umanamente più profondo e vero snodo chiave della corsa al cosmo fu il volo di Gagarin. 108 minuti che resero il cosmonauta sovietico il primo uomo a poter vedere, dall'esterno, la Terra ("Il cielo è molto nero, la Terra è azzurra. Tutto può essere visto molto chiaramente", disse durante la sua orbita), proiettarono la corsa allo spazio e la frontiera dell'uomo su una nuova dimensione.
C'è una tensione tanto verso il particolare quanto verso l'universale quando si parla dei traguardi della corsa allo spazio. Certamente, come ricorda Massimo Capaccioli in Luna Rossa, l'Unione Sovietica, comprensibilmente, sfruttò il successo di Gagarin come una grande occasione propagandistica. E indubbiamente si può dire che tra il 1957 e il 1966, anno dell'ultimo significativo primato sovietico nella corsa allo spazio (la prima orbita di un satellite attorno alla Luna) il programma spaziale dell'Urss, costruito con l'applicazione alle missioni extraorbitali di tecnologie sviluppate primariamente per fini militari, seppe mietere successi considerevoli. Quell'anno, la morte del "Capo Progettista", il mitico Sergej Korolev stratega e artefice delle missioni spaziali di Mosca, l'uomo senza volto che curò la corsa sovietica al cielo, bloccò di fatto la prospettiva di poter battere sulla frontiera della corsa allo sbarco sulla Luna l'arrembante organizzazione statunitense. Ma missioni come quella della Vostok 1 furono, indubbiamente, un trionfo d'immagine per i sovietici. In Occidente, ricorda Capaccioli, nonostante la segretezza della missione gli Usa furono informati perché "una base di ascolto aveva captato le sue conversazioni con Baikonur", avvisando tempestivamente la Casa Bianca e il presidente John Fitzgerald Kennedy. La stampa statunitense celebrò a caratteri cubitali Gagarin, che sarebbe stato invitato perfino a corte nel Regno Unito da Elisabetta II, onorato da un pranzo come non era successo nemmeno al leader sovietico Nikita Chruschev e il cosmonauta divenne "l'emblema della propaganda sovietica, un prezioso ambasciatore da usare sapientemente per rafforzare presso gli Stati amici la fiducia nel modello Urss e promuoverlo in quei Paesi dell'arcipelago capitalista in cui la presenza di simpatizzanti era significativa". Da Nasser a Fidel Castro, molti leader del pianeta vollero incontrarlo e conversare con lui.
Al contempo, nella missione di Gagarin ci fu una componente, meno narrata, di vera e propria "universalità". Una componente che chiama alla valorizzazione della natura più profonda della sua personalità, alla forte sensibilità culturale e, in un certo senso, mistica che lo contraddistingueva e a un'oggettiva consapevolezza del ruolo simbolico, trascendente la dimensione della competizione sovietico-americana, della sua missione. A Gagarin è stata attribuita da alcune fonti la celebre frase "Non vedo nessun Dio quassù", mai confermata da registrazioni o documenti reali, ma dichiarazioni ben più qualificate raccontano della profondità della visione spirituale del cosmonauta, testimoniata dalle parole l'igumeno Iov Talats, padre spirituale del distaccamento dei cosmonauti russi e rettore della Chiesa della Trasfigurazione nella Zvezdnij Gorodok ("Città delle stelle") vicino Mosca dove sono venuti e vengono molti dei conquistatori dello spazio partiti dalla Base di Baikonur. Per ricevere una benedizione o legare a un significato più ampio un'impresa che è patrimonio dell'umanità. Come in cielo così in Terra. Padre Talats ha ricordato in un'intervista ad Interfax nel 2011 che Gagarin fece battezzare la figlia Elena poco prima del viaggio, si operò per la ricostruzione della Cattedrale del Salvatore a Mosca, non firmò mai gli appelli per la condanna della religione.
Non a caso nel 2020, nel pieno della pandemia di Covid-19 e nel pieno delle celebrazioni per la Pasqua stampa più noto del Vaticano, L'Osservatore Romano non ha mancato di ricordare l'anniversario della conquista dello spazio da parte dell'uomo e l'anniversario dell'impresa di Gagarin, il figlio di un falegname divenuto apripista dell'umanità nell'esplorazione del cosmo. Leggendo l'esplorazione dello spazio come metafora umana del viaggio dell'anima e dello spirito che la Pasqua rappresenta: un curioso percorso storico ha voluto che a rendere manifesta questa metafora sia stato un uomo di umili origini in nome di un Paese che, ufficialmente, si professava distante dalla religione ma che dall'anima profonda della Santa Russia era tutt'altro che distante, diventandone di fatto il figlio prediletto.
La natura quasi "escatologica" del viaggio di Gagarin fu interpretata con forza dai fautori dell'ideologia del cosmismo, una corrente di pensiero che, ha permeato diverse correnti del Partito Bolscevico delle origini e unisce la teleologia religiosa a quella laica incarnata dal socialismo realizzato. I cosmisti, scrive il professor Salvatore Santangelo su Il Tempo, "credono che nel cosmo esistano mondi abitati (un'idea, peraltro, condivisa da Karl Marx) e che l'evoluzione umana sia inarrestabile e tesa verso mete sempre più alte e spirituali, di cui la Rivoluzione d'ottobre è una tappa fondamentale". Cosmista fu il padre della cosmonautica sovietica, Konstantin Ziolkovski (1857-1935), e cosmista fu Nikolaj Konstantinovič Rerich, pittore simbolista divenuto celebre per i suoi paesaggi ritratti durante le lunghe peregrinazioni per l'Himalaya e l'India tra gli Anni Venti e il 1947, anno della sua morte, le cui opere erano bandite nell'Unione Sovietica dei tempi di Gagarin. A lui Gagarin garantì, il giorno dopo il suo volo, un tributo rimasto un passaggio tra i più controversi per gli studiosi della missione Vostok, quando descrivendo i fenomeni avvistati orbitando dichiarò: "“I raggi brillavano attraversando l’atmosfera della Terra, l’orizzonte divenne arancione, passando gradualmente per tutti i colori dell’arcobaleno: dall’azzurro al blu, al violetto fino al nero. Una gamma di colori indescrivibili! Proprio come nei dipinti di Nicholas Roerich”. Un breve, fondamentale passaggio che ancora oggi fa pensare e riflettere e, assieme alla vocazione mistica che permeava la "Città delle Stelle" nel cuore dell'impero sovietico, porta a sviluppare profonde riflessioni sulla consapevolezza che Gagarin e i suoi eredi avevano e hanno avuto del profondo significato del viaggio spaziale.
Ora che l'era spaziale dell'uomo compie sessant'anni, il ruolo di Gagarin come apripista verso la frontiera infinita è più comprensibile che mai.
E come tutti gli altri traguardi della corsa allo spazio, come tutti i più grandi risultati scientifici e come le più grandi scoperte della storia il successo di Gagarin, così come l'allunaggio Apollo, possono essere nel loro contesto storico ritenuti i successi di un dato modello organizzativo, politico e sociale. Ma a livello complessivo rappresentano, in fin dei conti, dei successi dell'umanità nel suo complesso. Per i quali ancora si prova fascino e ammirazione.
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