Bobbio, l'ibrido liberal-comunista

Gli scritti su Marx del filosofo torinese. Da un lato il primato della libertà, dall'altro il rifiuto della "dittatura borghese". Le contraddizioni di un intellettuale

Le statue di Karl Marx (1818-83) e Friedrich Engels (1820-95) a Berlino
Le statue di Karl Marx (1818-83) e Friedrich Engels (1820-95) a Berlino

I testi inediti di Norberto Bobbio, ora pubblicati da Cesare Pianciola e Franco Sbarberi col titolo Scritti su Marx. Dialettica, stato, società civile (Donzelli) non rivelano certo un Bobbio diverso da quello che già si conosceva - e sul marxismo teorico e sul comunismo non dicono nulla di nuovo rispetto a Né con Marx né contro Marx (1997) o a L'utopia capovolta (1990). E tuttavia i due curatori hanno fatto un buon lavoro, giacché sono riusciti a farci entrare nel laboratorio intellettuale del filosofo torinese, mostrandoci appunti e schede che, in genere, sono di noiosa lettura. I materiali allo stato grezzo di Bobbio costituiscono la riprova di un'implacabile chiarezza concettuale che li riversa nel prodotto finito come tasselli già composti e ben ordinati di un mosaico, le cui tesi possono non essere condivise, ma sono sempre vitamine per l'intelligenza.

Va detto che anche il volume in questione mostra sia le luci sia le ombre di un pensatore che, assieme ad Augusto Del Noce sulla riva ideologica opposta alla sua, ha segnato come pochissimi altri la cultura della seconda metà del Novecento. Le luci sono costituite dal primato della libertà e da un'idea della scienza riconducibile al «razionalismo critico». Una «concezione dell'uomo e della storia» molto diversa dal marxismo portava Bobbio a sostenere, nel 1946, che «la meta fondamentale dell'uomo non è la società senza classi: il problema dell'uomo è uno solo, è il problema della libertà». Per questo gli erano particolarmente cari i classici dell'Ottocento come Stuart Mill, Tocqueville, Cattaneo e, nel secolo successivo, Kelsen, Popper, Schumpeter, Sartori. Per tutta la vita Bobbio mise in guardia contro lo scientismo e il razionalismo assoluto da cui era affetto il marxismo. La scienza è seminatrice di dubbi, non dispensatrice di consolanti certezze, «non nega in forma assoluta, perché una negazione assoluta di quello che essa non può dimostrare né provare è un sorpassare i suoi limiti». Di qui una critica serrata del marxismo che, in sostanza, ne riprendeva le obiezioni classiche, dal messianismo - «la riconciliazione dell'infinito col finito, la soluzione dell'enigma della storia» - all'economicismo - l'abbattimento del dominio borghese come fine dell'alienazione e dello sfruttamento del lavoro umano.
Accanto a questo coté liberale, conviveva però in Bobbio una pulsione egualitaria e rousseauiana, di matrice azionista, che lo portava a vedere nel socialismo («liberale») lo strumento per il «passaggio graduale dalla società chiusa alla società aperta». All'autore di Politica e cultura rimase sempre incomprensibile il nesso tra proprietà privata, capitalismo e mercato, da una parte, e le istituzioni e le garanzie della libertà, dall'altro.

C'è una pagina della silloge in esame che fa trasalire: «Per noi è chiaro che quando diciamo che lo Stato capitalistico è la dittatura della borghesia, dobbiamo distinguere due modi con cui la borghesia può esercitare questa dittatura. \ Lo Stato italiano fascista era una dittatura della borghesia esercitata con una dittatura politica; mentre lo Stato italiano prefascista era una dittatura borghese esercitata nelle forme di uno Stato liberale». Una sintesi davvero semplicistica che avrebbe potuto sottoscrivere un marxista ortodosso, ma non il teorico della democrazia procedurale - quale sarebbe divenuto in seguito Bobbio - né, tanto meno, lo studioso che ad Aurelio Macchioro obiettava che «i grandi conflitti che hanno fatto la storia (si dice così) sono conflitti di classi dirigenti fra loro e non fra classi dominanti e classi dominate» e che alla «sopravvalutazione marxiana della lotta di classe» andava contrapposta la «teoria delle élites».

In realtà, Bobbio faceva a pezzi il marxismo teorico - di cui giustamente salvaguardava il momento realistico e, soprattutto, la teoria dell'ideologia, «la sociologia della conoscenza, ossia la storia dei rapporti fra le idee e la società, come le idee nascono dalla società, e come ritornano alla società» - ma rimaneva sentimentalmente legato alle vittime delle diseguaglianze sociali, ai dannati della Terra. «Il processo di mercificazione universale prodotto dall'universalizzazione del mercato, per cui ogni cosa può diventar merce, dai figli agli organi, e, per restare nell'ambito delle società democratiche, ai voti, purché ci sia uno che domanda e uno che offre» rimase sempre un chiodo fisso che non gli permise di festeggiare la caduta del Muro di Berlino, pur non amando il comunismo sovietico.

Di qui la vaghezza del tanto aborrito «primato dell'economia sulla politica e sulla ideologia»: Bobbio non sospettò mai che «il potere economico» che determina le scelte degli elettori è il potere dei settori dell'economia che riescono a fare blocco con determinati settori del potere politico - favorendo, ad esempio, alleanze internazionali e interventi militari, che per i settori rimasti fuori dal blocco potrebbero rivelarsi esiziali - e che il sezionalismo di Luigi Einaudi spiegava quei processi assai meglio delle mitologie marxiste.

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