Chamed: "In manicomio tra elettroshock e abusi essuali"

Arriva in libreria "Mi si è fermato il cuore". L'autrice: "Sono passata attraverso il tunnel di un dolore che scava dentro, e mi porto dietro cicatrici indelebili"

Chamed
Chamed

"Sono passata attraverso il tunnel di un dolore che scava dentro, e mi porto dietro cicatrici indelebili. Penso che l’uomo non sia nato per soffrire, ma per la felicità". Adesso Chamed guarda al suo passato con disinvoltura. Eppure il dolore, l'amarezza e le cicatrici - appunto - rimangono. Le violenze, il manicomio, l'elettroshock sono tutti ricordi che ha voluto raccontare in Mi si è fermato il cuore (Leone Editore). "Solo grazie all'amore sono tornata a vivere - racconta Chamed - l'amore e il sostegno dei miei genitori e delle persone che mi sono state vicine quando ne avevo bisogno, condividendo i momenti più brutti della mia vita".

Una storia vera, un libro che tocca le corde più profonde dell’anima ricordando quanta fragilità e quanta forza possiede l’essere umano. Nel giro di poche settimana dall'uscita, il romanzo di Chamed ha subito venduto migliaia di copie. Mi si è fermato il cuore è la triste storia di una quattordicenne che perde i genitori in un incidente d’auto, viene affidata a una zia che la odia e la maltratta e, in seguito a un tentato suicidio, viene fattaa internare in un manicomio. Qui ha inizio la sua odissea tra molestie, violenze e abusi. Pur entrando in coma diverse volte a causa dell'elettroshock, Chamed trova comunque la forza di denunciare i suoi aguzzini grazie a un medico illuminato che la adotterà per farle iniziare una nuova vita.

Chamed, perché e per chi hai deciso di raccontare la tua storia in un romanzo?

"Nessuno si è mai domandato che fine abbiano fatto le persone ricoverate negli ospedali psichiatrici, luoghi non di cura, ma di segregazione. Ho scritto per far conoscere quali sono i problemi di chi tutti i giorni cerca di reinserirsi in un mondo che non lo vuole, raccontando il mio passato: ricordi dolorosi, rimpianti, sogni e attese, pensando a chi non ha avuto la forza di tornare a esistere e di mettersi in discussione."

Quale male tanto grande può spingere una persona a desiderare di farla finita?

"Un’oscura persecuzione ha sconvolto la mia tranquillità che si trasforma ben presto in un incubo senza fondo. Immaginate una ragazza cui siano state tolte le persone che ama più della sua stessa vita, la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto quanto possiede. Un incubo senza fondo nel quale sono precipitata troppo velocemente, finendo anche per perdere me stessa."

Cosa ricordi dell'esperienza dell'elettroshock?

"Quando mi applicavano gli elettrodi non ricordavo più nulla, i trattamenti mi oscuravano completamente la mente. Non riuscivo a capire nulla di quello che mi succedeva intorno, non riuscivo a leggere, neanchhe a fare uno scarabocchio, per me era difficile anche parlare. Quando cercavo di esprimermi era come attraversare un tunnel, la cui uscita era crollata: mi sentivo come sepolta viva, tutto quello che potevo fare era chiudermi in me stessa e afferrarmi al passato."

Cosa ricordi di quando ti hanno rinchiusa in manicomio?

"La paura e le grida. Urlavo per il terrore di essere violentata, per dire che non avevo colpa se ero stata rinchiusa in quell’inferno solo perché ero rimasta orfana, per dire che ero un essere umano. Ricordo che quando al mattino mi svegliavo non riuscivo a rendermi conto di essere ancora viva, soprattutto non sapevo se sarei riuscita ad arrivare a sera senza che nessuno mi facesse del male così, per puro divertimento, usandomi come una posta per delle scommesse. L'unico compagno che avevo era lo spettro della morte: non mi abbandonava mai un attimo, sentivo la sua puzza, la sua presenza gelida che mi accarezzava il corpo, facendomi trenare da cima a fondo."

Cosa ti ha salvata?

"L’incoscienza della giovane età. La non conoscenza della vita mi ha dato la forza di ribellarmi, anche se poi l’ho pagata a caro prezzo. E poi, come potrei dimenticare i miei genitori adottivi, che mi hanno regalato una seconda vita? Infine Giulio, il mio primo e solo grande amore."

Come stai oggi e cosa rimane di tutto quel dolore?

"Oggi sono una donna felice. Sono passati molti anni da quando sono stata scaraventata negli inferi del dolore, della sofferenza, quando il mio corpo e la mia mente sono stati distrutti, lacerati, violentati. Anni in cui sono diventata una persona che chiede amore, rispetto: ho imparato a farmi accettare per ciò che sono. Anni in cui la malattia e il dolore mi hanno fatto morire e rinascere; anni in cui ho scoperto di avere una forza, un’energia che non conoscevo.

Anni in cui attraverso il dolore ho imparato che per essere felici occorre non buttare via la propria vita a cercare l’impossibile, ma nel godere di ciò che si ha, poiché domani può esserci tolto. L'esperienza in manicomio mi ha insegnato anche che i malati non devono essere ghettizzati come appestati: hanno bisogno di essere curati, accuditi, ma soprattutto di continuare a sperare per il loro futuro."

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