I Pontiggia, una famiglia di lettori, scrittori e poeti. Il padre fu un bibliofilo, che trasmise la malattia ai figli. La madre attrice teatrale. E poi i figli: il minore d'età, e maggiore di fama, Giuseppe Pontiggia, morto dieci anni fa, grande romanziere; e il maggiore di età, e defilato in visibilità, Giampietro Pontiggia, poeta. Il quale a un certo punto scelse lo pseudonimo Giampiero Neri: «Sono andato alla ricerca di un nome in opposizione a Peppo, che era considerato il buono di famiglia, perché era calmo... Neri invece è un colore di battaglie... un colore polemico».
E adesso il «polemico» dei Pontiggia si racconta nel libro-conversazione con Alessandro Rivali: Giampiero Neri, un maestro in ombra (Jaca Book). Dove «il» Neri fa i conti con se stesso, col fratello, con la piccola «storia di una famiglia italiana» (è il sottotitolo) ma anche con un pezzo di Storia d'Italia, quando svela che il padre Ugo, figura molto rispettata, funzionario di banca come saranno i figli, podestà in un paesino vicino a Erba, dopo l'armistizio, la sera del 12 novembre '43, fu ucciso da due partigiani che gli spararono alla schiena sulla via di casa. Giampiero aveva 16 anni, Peppo 11. Ricorda Neri: «Il professor Merzagora, che faceva parte del Cln, mi confidò: Sai, io che sento molte campane posso dirti che ritengo sia stato un errore». La «storia di una famiglia italiana», appunto. Poi c'è il suo canone (Villon-Campana-Fenoglio) «alternativo» a quello egemone della cultura italiana, e il «legame intenso e travagliato» con Peppo, come da titolo del quinto capitolo. Dove si scopre che il rapporto fa i due (ottimo all'inizio: Giampiero corregge il romanzo d'esordio del Peppo), andò logorandosi in parallelo al successo di Pontiggia e alla carriera defilata di Neri.
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