La morte è drammatica. Ma, troppo spesso, la vita lo è ancora di più. Lungo gli sconfinati viali dei cimiteri che oggigiorno mettono in linea le lapidi - una dietro l'altra, in un mare di promesse di vita eterna - fino a perdersi nel grigiore delle cinte di cemento, si zittiscono i sogni, si incenersicono i ricordi e si lascia spazio solo al dolore. Lo spaesamento, che la società moderna riflette su un argomento diventato ormai tabù perché antitetico alla frenesia del quotidiano, può essere toccato con mano soprattutto nelle grandi città. Per questo farsi trascinare da Valérie Perrin nel camposanto di Brancion-en-Chalon diventa quasi un viaggio catartico in un mondo che non si vuole più vedere perché, come spiegava Massimo Fini in La ragione aveva torto, nulla deve distrarre dall'eternità dell'oggi.
Quando l'Unione europea stentava ad uscire dall'epidemia e quotidianamente si ritrovava a fare i conti con le vittime che non riusciva nemmeno a seppellire tanto erano congestionati gli obitori degli ospedali in cui tiravano l'ultimo respiro, Michel Houellebecq aveva messo il mondo davanti a un'ovvietà che molti non vogliono vedere. E cioè che questo nuovo, maledetto virus non ha fatto altro che renderci peggiori. "Abbiamo le utopie che meritiamo", spiegava. "Sarebbe altrettanto falso affermare che abbiamo riscoperto il tragico, la morte, la finitezza, etc". E, citando Philippe Airès, ricordava come la tendenza dall'epoca moderna sia di "dissimulare la morte" il più possibile. La pandemia non ha fatto altro che radicalizzare questo credo. I malati morivano, da soli, nelle terapie intensive degli ospedali o nelle case di riposo. I loro corpi venivano cremati in fretta e furia, senza che nessuno potesse recitare per loro un'ultima preghiera. "Morte senza che se ne abbia la minima testimonianza - scriveva Houellebecq - le vittime si riducono a una unità nella statistica delle morti quotidiane, e l'angoscia che si diffonde nella popolazione mano a mano che il totale aumenta ha qualcosa di stranamente astratto".
Cambiare l'acqua ai fiori (Edizioni E/O) è un romanzo che non può lasciare tranquilli, anche se la Perrin lo scrive con garbo e grazia. In prima battuta sembra un inno alla vita, alle "cose semplici" che questa ha da offrire, anche durante le avversità. Poi, però, se vai a scavare nel profondo, la protagonista, Violette, porta il lettore a tu per tu con la morte. Lei, che di mestiere fa la guardiana del cimitero di Brancion-en-Chalon, non può che averne un punto di vista privilegiato. "Credo di ricevere più confidenze da parte della gente di passaggio di quante ne riceva padre Cédric nel confessionale", ammette con candore. E sono queste confidenze, gli incontri, i flashback, i diari e le corrispondenze a comporre un caleidoscopio di anime smarrite che si intrecciano, si amano, si fanno del male e infine si perdono nel nulla, sotto un pugno di terra bagnata. Il racconto è delicato, a tratti persino comico, ma non risparmia tutta l'amarezza di cui sa essere intrisa la vita. Perché nulla risulta mai facile e l'abbandono fa sempre male, sia se lascia un vuoto verso chi rimane sia per chi non ha nessuno disposto a chinarsi a piangere sulla sua tomba. E così l'urto della morte lascia, infine, spazio ai rimpianti, ai ricordi che si fanno sempre più lontani e sbiaditi, alle ferite che nemmeno il tempo riesce a cicatrizzare e, soprattutto, a quella domanda che nessuno sembra più avere il coraggio di porsi: perché?
La bravura della Perrin, il cui libro in Francia ha venduto oltre 140mila copie e in Italia continua dominare in classifica rendendolo un vero e proprio caso editoriale, è tentare una via di fuga da tanto
dolore. Perché, dopo aver messo il lettore dinnanzi alla crudeltà della morte, lo accompagna in un cammino difficile, fatto di piccoli gesti come quelli, appunto, di curare le piante dell'orto o cambiare l'acqua ai fuori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.