Delitti senza castigo Il male assoluto secondo McCarthy

Nella storia scritta per il cinema, trionfano crudeltà e vendetta. Un libro dai toni biblici, seguito ideale di "Non è un paese per vecchi"

Delitti senza castigo Il male assoluto secondo McCarthy

Sarà che Cormac McCarthy non risulta aver mai frequentato un corso di scrittura cinematografica, sarà che questa è la sua prima sceneggiatura, oppure che dai tempi della Trilogia della Frontiera siamo abituati a vederlo alternare descrizioni a scene prevalentemente dialogiche, ma risulta difficile considerare The Counselor - Il procuratore (Einaudi, pagg. 120, euro 14, 50) come qualcosa di eterogeneo rispetto ai suoi romanzi. Non sembra, come ci si aspetterebbe da una sceneggiatura, la componente importante ma subalterna e preliminare di un esito finale (il film), ma un'opera in se stessa. Il paesaggio umano, geografico, morale è quello del più classico McCarthy di frontiera: il deserto, le città di confine, le albe grigie e i monti viola in fondo alla pianura, le strade che corrono diritte nella polvere. E soprattutto uomini di fronte alle loro scelte. Solo che qui tutte le scelte sembrano essere già compiute. In questo senso, The Counselor inizia dove terminava Non è un paese per vecchi, proprio in quel terribile mondo presente che lo sceriffo Bell rifiutava, un mondo dove il male è ormai un intreccio che avvolge e unifica tutti, uomini di legge e narcotrafficanti, corrieri della droga e uomini d'affari. Un mondo che non è più paese per nessuno.
La trama di The Counselor ha tutta la linearità di un vicenda biblica. Un procuratore (ma si tratta, in effetti, di un avvocato), uomo ancora giovane, ricco e apparentemente appagato, in procinto di sposarsi con quella che con ogni evidenza è la donna della sua vita, tramite due personaggi borderline come Reiner, un gestore di night club, e Westray, un uomo d'affari, riesce a entrare nel colossale business del traffico di droga tra Messico e Stati Uniti con un colpo da venti milioni di dollari. Cosa lo spinge su quella strada, nonostante i due lo mettano in guardia sulla psicopatica crudeltà dei cartelli della droga e sulla loro allergia ai dilettanti del narcotraffico? McCarthy non lo dice. Ci mostra il procuratore ad Amsterdam, mentre acquista un diamante per la sua Laura e discute con un sentenzioso ebreo sefardita. O sul lavoro, a colloquio con una donna accusata di omicidio, o alle feste di Reiner, o sotto le lenzuola con la sua ormai prossima sposa. Ce lo fa ascoltare in molti dialoghi, visto che numerose scene si riducono a questo: due uomini che parlano, uno che interroga (di solito lui, il procuratore) e l'altro che risponde. È l'avidità, il movente? È la volontà di attraversare il confine, l'eccitazione di sfiorare quel mondo primordiale e barbarico che per i personaggi di McCarthy si situa appena al di là del Rìo Bravo, nell'inferno di quella Ciudad Juarez dove si ammazzano tremila persone all'anno e dove i signori della droga rapiscono a centinaia le ragazzine di cui filmeranno l'agonia nei loro snuff movies? McCarthy non lo dice. Piuttosto che far luce sulle motivazioni preferisce lasciare intatto il nucleo d'ombra che c'è nel cuore del protagonista - o meglio, come per altri personaggi di McCarthy, è quello stesso mistero a rappresentare la verità. L'affare messo in piedi da Reiner, Westray e dal procuratore non andrà per il verso giusto, e quello che era iniziato come puro business diventerà una caduta a precipizio nell'orrore. Che McCarthy, raramente così spietato, non risparmia né in forma di descrizione indiretta (valga, per tutte, quella fatta da Reiner del bolito, un folle strumento per decapitare a tradimento la vittima) né in forma di azione. La violenza e il sangue lasciati presagire per tutta la sceneggiatura si materializzano in un finale che si impone con la forza crudele della predestinazione (e altrettanto crudele mi parrebbe svelarne i particolari).
Il procuratore, l'avrete notato, non ha nome. McCarthy ritiene che non ne abbia bisogno perché, in effetti, il procuratore non è nessuno in particolare. Il male è ubiquo e trionfante nel nuovo mondo e il procuratore, con il buio impenetrabile delle sue motivazioni, è una parte di ognuno di noi.
Il film, diretto da Ridley Scott, uscirà in Italia a gennaio.

Mentre attendiamo di vedere come se la caveranno lui e il suo cast all stars, abbiamo la certezza di un'opera in cui (attraverso la resa impeccabile ed empatica della traduttrice Maurizia Balmelli) si esprime la voce del McCarthy migliore, quello che parla di uomini con un dilemma morale, del bene e del male. Sempre più spesso, come in questo caso, soprattutto del male.

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