«La deviazione» è l'eutanasia di un'anima in pena

Prende su e se ne va. Evade dalla sua piatta Olanda a due dimensioni, s'imbarca a Rotterdam, sbarca a Hull, in Inghilterra e, dopo qualche ora di macchina, si nasconde in un remoto paesello del Galles del Nord. Dove trova la terza dimensione, quella delle montagne. Molto diverse, però, dalle Montagne dei Paesi Bassi che il suo collega e connazionale Cees Nooteboom, tanti anni fa, disegnò con le matite colorate dalla fantasia di Alfonso Tiburón de Mendoza, ispettore delle strade della provincia di Saragozza. Perché lassù, dalle parti di Caernarfon, la fantasia non sta di casa, ci si misura con la dura realtà della solitudine e dell'abbandono. C'è silenzio lassù , un silenzio che in effetti somiglia molto a quello del suo primo romanzo uscito in italiano, però non siamo in Giugno (titolo del secondo romanzo, anch'esso pubblicato da Iperborea), bensì in novembre e dicembre. E questa volta Gerbrand Bakker, che nello zaino ha sempre il suo strumento preferito, cioè un microscopio per osservare la composizione molecolare delle anime in pena, mette sotto la lente una donna. Dopo l'Helmer di C'è silenzio lassù e i tre fratelli Kaan di Giugno , ecco Emilie.

Emilie non è il suo vero nome, lei l'ha scelto in omaggio a Emily Dickinson, oggetto della sua tesi di dottorato, del suo amore e del suo disamore: «Era questo, ciò che Emily Dickinson aveva fatto per quasi tutta la vita adulta? Aveva cercato di fermare il tempo, di renderlo sopportabile e forse anche meno solitario, intrappolandolo in centinaia di poesie? E non solo il tempo, ma anche l'“Amore”, la “Vita”, e la “Natura”», pensa. E l'ha scelto anche per tenere la giusta distanza da Bradwen, il ragazzo con «la schiena da agnello» che arriva un giorno a farle compagnia nel rustico con annesso porcile (disabitato) e recinto per le oche (abitato) da lei preso in affitto per tre mesi. Quella della sedicente Emilie (ma Bradwen la chiama Emily, all'inglese, pur essendo digiuno di poesia) è una fuga per la sconfitta. Anzi per le sconfitte. Crisi con il marito a causa di uno scandaletto universitario ad Amsterdam e crisi fisica per una malattia mai conclamata fra le pagine ma evidentemente grave. Imbottita di paracetamolo e avvolta dal fumo delle sigarette, s'è messa in testa di fare finalmente qualcosa, nella sua vita. Fare qualcosa di materiale, di concreto: pulire il sentiero, segare i rami secchi degli alberi, accudire le oche. Costruire magari un mobiletto, come il suo eccentrico zio andato fuori di testa, il solo familiare che lei capiva e che la capiva. Invece le tocca fare i conti, oltre che con il ragazzo autoinvitatosi sotto il suo tetto, con una piccola comunità di estranei e invadenti campagnoli.

La deviazione del titolo (Einaudi, pagg. 251, euro 18, traduzione di Laura Pignatti) la porta sulla cattiva strada. Ma se non altro sarà lei a fissare il traguardo della corsa.

Intanto da qualche parte, nascosto nel bosco, seduto in riva al ruscello o da sotto la botola della cantina, Gerbrand Bakker la osserva con il potentissimo microscopio del suo acume psicologico. Perché è l'unico a volerle davvero bene.

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