Nelle foto in posa che la ritraggono da ragazza, l’aspetto di una delle tante giovani e ribelli flapper d’ispirazione americana: capello tagliato alla ‘Bob’ e lunghi fili di perle portati su abiti eleganti che richiamano i grandi party degli ‘anni ruggenti’ favoleggiati da Fitzgerlad. Sul passaporto che ha esibito per l’ultima volta all’aeroporto internazionale di Hong Kong, accanto a una foto dove spiccano i suoi enormi occhialini da vista in acetato scuro, la data di nascita che riporta al 10 ottobre 1911, Inghilterra. Clare Hollingworth è stata la più grande reporter di guerra britanniche, centenaria avventuriera e ribelle scelse di raccontare su giornali eccellenti come Daily Telegraph, Guardian e Economist i conflitti che scuotevano e hanno scosso il mondo. Suo lo scoop del secolo scorso dal titolo "Mille carri armati ammassati al confine con la Polonia. Dieci divisioni sono pronte per colpire"; era il 29 agosto 1939 e due giorni dopo sarebbe iniziata la più grande guerra che il mondo avrebbe mai visto.
La fortuna di un reporter spesso si riduce all’essere nel posto giusto al momento giusto, ma lei, che per raccontare la ‘questione sudeta’ nella Germania dell’ascesa nazista si era avvalsa di un vecchio visto che la spacciava per una sciatrice straniera in villeggiatura, era già al suo posto nell’estate nel ’39. Sottrasse l’auto di un ex-funzionario britannico che frequentava, con la grande ‘union jack’ inglese dipinta sopra la targa, e passò la frontiera dopo aver acquistato vino bianco e un’aspirina. Aveva saputo da una sua buona fonte che stava per succedere qualcosa. Si sistemò su un'altura e proprio da lì vide la nube di polvere alzata da una lunga colonna di carri armati dello stesso colore dell’antracite che esibivano croci a bracci diritti - le Balkenkreuz - sui fianchi: erano le Panzer-Division di Hitler, inviate a conquistare la Polonia e riprendersi Danzica. Contattò l’ambasciatore britannico presso Varsavia, ma non le diede conto pensando fosse un’assurda invenzione. Senza perdere un istante corse a dettare al Telegraph l’articolo che avrebbe annunciato a tutto il Regno Unito che Hitler aveva fatto il suo ennesimo irrimediabile passo verso la guerra. Il dado ormai era tratto.
Anche per la Holligworth, figlia di un fabbricante di scarpe, nata a Knighton, sobborgo di Leicester, cresciuta con la passione per la scrittura che coltivata fina dalla giovanissima età, e quella insana della ‘guerra, il dado era tratto. Quando si vivono certe emozioni, non le si può più abbandonare; così a 27 anni decise che quello sarebbe diventato il suo mestiere: avrebbe raccontato la guerra all’uomo comune. "Non ero coraggiosa – raccontava – Non ero ingenua. Ero consapevole dei pericoli, ma pensavo che fosse una cosa buona da fare, essere testimone in prima persona e vedere. Di solito mi fermavo e dormivo in macchina, mi bastava un biscotto e un po’ di vino, e poi si proseguiva. Erano quel genere di giorni in cui basta avere una macchina da scrivere e uno spazzolino da denti".
La guerra si ampliò su più fronti, e lei proseguì a raccontarla. Nel 1940 si stabilì a Bucarest, dove era corrispondente per il Daily Express. Scoperta dalla Guardia di Ferro di Codreanu a scrivere articoli ‘inaccettabili’ per il regime, ne venne ordinato l’arresto. Le leggenda vuole che lei si presento nuda e senza malizia alla porta: "Non potete portarvi via così, non vedete che sono nuda". Ma le cose forse andarono diversamente: fatto sta che riuscì a mettersi a sicuro e a lasciare la Romania ‘in sicurezza’. Si spostò in Grecia dove gli italiani - ma più i tedeschi con l’Operazione Marita - si erano stabiliti nella prosecuzione della conquista dell’Europa. Allora andò in Turchia e di lì Nord Africa. Quando nel 1942 il generale inglese Montgomery - che non voleva donne tra i piedi - non permise alle giornalisti britannici di superare l’Egitto per seguire quel susseguirsi di battaglie che avrebbero visto il loro culmine nella prima, grande disfatta delle armate del Terzo Reich - El Alamein - lei corse ad Algeri, dove era appena sbarcato il contingente americano di Eisenhower. Lì si fece assumere protempore dalla rivista americana Time: solo per continuare a raccontare il conflitto che imperversava sul fronte nordafricano e che avrebbe cambiato le sorti della guerra. Come tenne a precisare alla BBC anni dopo: "Non ho mai usato il mio essere donna per ottenere una storia, qualcosa, a cui non potesse arrivare anche un uomo". Seguì gli alleati per il resto del conflitto; pare si lanciò addirittura con il paracadute sulla Sicilia, per sempre essere dove era la guerra, fino all’armistizio con la Germania.
Finita la seconda guerra mondiale, l’evento storico più importante della sua vita, quello che la consacrò come prima reporter di guerra donna della storia, si stabilì in a Tel Aviv per raccontare la guerra arabo-israeliana, l’indipendenza e la creazione dello Stato d’Israele; era il ’46. Nel ’62 era di nuovo in Africa, in Algeria, a raccontare la guerra d’indipendenza della colonia francese; poi l’Iran, il Vietnam per raccontare una delle guerra più sanguinose dell’epoca contemporanea e dove durante il lungo soggiorno imparò il vietnamita - da aggiungere al croato, all’arabo e al cinese. Negli anni ’70 l’India, di nuovo l’Iran, il Pakistan, la Cina dove stava morendo il grande dittatore comunista Mao. Appassionata di "cappa e spada" e immersa negli ambienti dove pasteggiava e dilagava lo spionaggio, a Beirut smascherò la spia comunista doppiogiochista Kim Philby, nome in codice Stanley: uno dei "cinque di Cambridge" che da talpe del Cremlino terrorizzavano l’MI6, la CIA e tutto il Blocco atlantico. Sarebbe stato il secondo scoop della sua vita, ma la notizia era troppo imbarazzante, troppo delicata, troppo assurda per essere pubblicata. Assurda ma vera. Come sono spesso le notizie che cambiano la storia.
A suo agio nell’abitacolo di una caccia della Royal Air Force parcheggiato su una pista in Yemen, posava con il casco e la tuta da volo, la tuta anti-g in dosso, il giubbotto salvagente e tutto il resto; prima del decollo. Un colpetto alla spalla del pilota ed era pronta a provare l’ennesima emozione che una donna ultrasessantenne come lei difficilmente avrebbe voluto provare - lei che non si sarebbe mai accontentata di una vita da neo-suffragetta londinese, lì era nel suo habitat naturale, lì era il suo diritto d’essere donna che non aveva nulla da invidiare a nessun uomo, semmai il contrario. "Devo ammettere che mi piace essere nel mezzo di una guerra ... non sono coraggiosa, mi piace e basta" affermò durante un’intervista rilasciata in quegli anni. Era una donna instancabile, appassionata, sempre china sul suo taccuino, lì in un angolo, a buttare giù l’inizio o la fine del prossimo ‘pezzo’ raccontavano i colleghi. Si sposò due volte, e non strinse mai con altri ‘corrispondenti di guerra’ celebri, tra che con il suo secondo marito, che era corrispondente in Medio Oriente per il Time. Aveva delle abitudini peculiari e gli aneddoti su di lei si sono sempre sprecati: aveva imparato a pilotare gli aerei, alla bisogna; beveva birra anche a colazione; dormiva sempre con le scarpe, nel caso fosse dovuta uscire in gran fretta; fino a pochi anni prima della sua morte - che la coglierà a 105 anni - aveva sempre pronto il passaporto sul comodino e uno zaino fatto, con l’essenziale, nel caso fosse stata inviata da qualche parte. Anche se ormai era in pensione. In Asia. Finalmente tranquilla; con una vita piena di ricordi e traguardi straordinari alle spalle.
Quando nel 1990 Saddam Hussein invase il Kuwait a caccia dell’oro nero e di uno sbocco sul mare, con il conseguente scoppio della prima Guerra del Golfo, lei aveva 79 anni. Si propose immediatamente al Telegraph come inviata "speciale". Quella signora attempata, dai pesanti occhiali da vista che inquadravano uno sguardo gentile ma risoluto, si addestrò per settimane dormendo sul pavimento per 5 giorni di seguito - per vedere se ancora era capace: e lo era.
Le risposero di no, e lei ci rimase male come una bambina; lei che quando si rivolgeva ai direttori di cui era al soldo, domandava sempre "Dov’è il posto più pericoloso dove andare? Perché è lì che si trovano buone storie. Nei posti più pericolosi del mondo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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