Deponiamo gli editoriali-loop di Giavazzi e smettiamo di andare a lavorare. La «crescita» è ormai un concetto insostenibile. A confermarlo è la scienza dello spirito incarnatasi in Peter Sloterdijk. Tu quoque, verrebbe da dire, perché parliamo del nietzscheano che sposò la volontà di potenza alla cibernetica, il filosofo delle antropotecniche (tecniche di coltura dell'essere umano), il provocatore che indignò Habermas sdoganando l'eugenetica a uso umanistico.
Il teutonico prof da un po' ha qualche grillo o Beppe Grillo per la testa. Lui che si dice portavoce della sinistra francofortese, anni fa se ne uscì con un anatema anti-tasse in pieno brio anarcocapitalistico. Ora la virata (coi venti editoriali a favore), andando a bastonar la crescita, concetto «che in futuro diventerà del tutto inutilizzabile». «Crescita» non intendendo il sudore del contadino, ma quel diabolico meccanismo che patteggia con l'«extraprofitto» (Crescita o extraprofitto è il libro edito da Mimesis, ma tanto valeva chiamarlo plusvalore). Si evocano scenari spaventevoli, come le «montagne di rifiuti» o peggio la «crescita di cellule cancerose». E l'euroamerican way of life? Il miglioramento del tenore di vita? Un flop.
Parrebbero i soliti slogan anticapitalistici, ma Sloterdijk v'imbastisce sopra un'epopea che solca gli oceani di Colombo citando Boccaccio e Rousseau. E tuttavia, sul coté terreno, si è accorto che le sue considerazione non sono così inattuali, che per molti la decrescita non è un'utopia felice, come dice Latouche, ma una triste realtà, e che insomma quel mostro del Pil vive già i suoi crepuscoli, e in Italia paghiamo il quotidiano fio degli allarmi Istat e la crisi e i disoccupati e quelle ambasce lì? Bei tempi quando difendeva gli spiriti imprenditoriali, lui mosca bianca tra i vari sapienti rimasti alla Belle Époque. Ora che il piatto piange dovremmo metterci felicemente a stecchetto, prendendola con la filosofia della decrescita, tentando regimi autarchici, dedicandoci agli ameni baratti.
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