La lotta alla disuguaglianza e il suo inquadramento teorico è ritornato prepotentemente di moda. L'economia teorica ne ha dibattuto a lungo. E, con scarso successo, ha cercato di misurarla. È molto più difficile di quanto appaia. Ecco perché bisogna tenere sul comodino un libretto, di facile lettura, di uno dei filosofi contemporanei più importanti: Harry G. Frankfurt. Sulla disuguaglianza (Guanda), in poco più di cento pagine, ci spiega «perché l'uguaglianza economica non è un ideale da perseguire». Avete capito bene. La lettura non è per iniziati e scorre in paragrafi, velocissimi. C'è molto del pensiero liberale, ma senza eccessi di tecnicismo. «Pochi sarebbero pronti a sostenere che la diseguaglianza è un male peggiore della povertà. I poveri soffrono perché non hanno abbastanza, non perché altri ne hanno di più, né perché qualcuno ha decisamente troppo.
Allora per quale ragione tanti si preoccupano più dei ricchi che dei poveri?».Per il Nostro la diseguaglianza economica ha «un'intrinseca innocenza morale», non è detto che sia desiderabile, ma non è certamente moralmente inaccettabile. E anzi, l'obiettivo politico dell'eguaglianza economica rischia di essere dannoso in sé. Il paradosso, filosofico, è che l'uguaglianza si potrebbe ottenere verso il basso, togliendo a tutti fino a renderli tutti uguali, ma ciò sarebbe forse desiderabile?Frankfurt non critica di per sé le politiche economiche di ispirazione egualitaria e redistributiva (questo è un compito che si prendono gli economisti liberali) poiché potrebbero rivelarsi indispensabili dal punto di vista sociale o politico.
La critica che il filosofo fa è molto sottile. Prende in considerazione quella classica: e cioè che uguaglianza e libertà possono confliggere, e il liberale tipicamente ha più a cuore la seconda.Il conflitto che vede Frankfurt è diverso: «Nella misura in cui gli individui si preoccupano dell'eguaglianza economica, la loro disponibilità ad accontentarsi di un particolare livello di reddito o di ricchezza è guidata non dai loro peculiari interessi e dalle loro ambizioni, ma semplicemente dalla quantità di denaro che ad altri capita di avere». Noi semplicisticamente chiameremmo il concetto: invidia.
Il nostro filosofo, in modo più appropriato, scrive che questo atteggiamento: «È dannoso perché alienante, ci separa dalla nostra realtà individuale e ci porta a concentrare l'attenzione sui desideri e bisogni che non sono nel modo più autentico nostri». Una lettura interessante per affrontare in modo nuovo quel centenario conflitto ideologico tra egalitari e libertari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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