Come si fa a parlare ai bambini di guerra? La risposta arriva dalla scrittrice Elena Pullè, che nel suo delizioso libro “Ho messo la pace in valigia” (Mondadori Electa), è riuscita attraverso la storia di due bambine ucraine, Olga e Lisa, a spiegare ai più piccoli il conflitto che stiamo vivendo in questo periodo, che fino ad ora avevano sperimentata solo con i videogiochi. Nella nostra intervista con la scrittrice, la delicata costruzione di questo libro, che parte dai timori che primi tra tutti hanno vissuto gli adulti, per arrivare ad un racconto dalle parole semplici, con i bellissimi disegni di Michela Minen, che educa e apre anche uno spiraglio di luce.
Parlare di guerra ai bambini è qualcosa di complicato da far comprendere, come ci è riuscita?
“Usando principalmente un lessico per l’infanzia che lasciasse un spazio alla calma e alla serenità. Questi due racconti sono stati un po’ un’esigenza che ha aiutato anche me a dare un significato alla guerra Ucraina. Questo evento mi ha colto di sorpresa e mi ha spaventato, proprio come avrebbe fatto un palloncino che scoppia all’improvviso. Non riuscivo a spiegare le mie emozioni e a definire il senso di spaesamento con le parole, per questo sono tornata a quelle più semplici. Ho provato a raccontare quello che sentivo, e a mettere le mie emozioni sotto forma di racconto”.
Una cosa come la guerra, quella reale, può risultare traumatica per i bambini?
“Ho inserito alcuni ‘ingredienti’ che consideravo fondamentali come ad esempio il lieto fine. Probabilmente perché anche io ne avevo bisogno e mi aiutava anche ad avere meno paura. Ho voluto raccontare queste storie lasciando uno spiraglio di luce. La guerra non ne ha tantissima, ma mi sono ispirata alle prime notizie di cronaca che parlavano del viaggio. Una sorta di passaggio e attraversamento di frontiera per approdare ad un posto più sicuro come il nostro Paese”.
Chi sono le protagoniste?
“Il primo racconto è la storia di Olga, una bambina che scappa con i genitori e il suo gatto. Nell’altro la protagonista è Lisa, che non ha una mamma, la sua è la direttrice dell’orfanotrofio e ha tanti fratelli che sono gli altri bambini”.
Le bambine di cui parla, Olga e Lisa, esistono realmente?
“Non ho voluto dare una personalizzazione specifica, quindi non nomi reali o storie avvenute realmente. Essendo un tema molto delicato ho preferito inventare queste due favole”.
La guerra di cui si parla è però il conflitto ucraino.
“Da un punto di vista geografico gli spostamenti sono precisi, con la partenza da Kiev e i passaggi dal confine polacco. I pullman, l’intervento della croce rossa che nel secondo racconto porta in salvo i bambini, sono cose prese dalla realtà”.
Nel libro, c’è la figura ricorrente di un supereroe.
“Ho voluto inserire una figura maschile, quella di Anathol che Lisa guarda con occhi innamorati come una sorellina verso il fratello più grande e lo vede come un supereroe. Ho immaginato questo ragazzo che aiuta gli orfani più piccoli a ripararsi dalle bombe. I bambini si abbracciano a lui, che li protegge come avesse un mantello. L’altro supereroe è il papà di Olga che porta lei, la mamma e il gatto fino alla frontiera, ma poi non può attraversarla con loro, perché deve tornare indietro a combattere”.
Sono tanti i temi che lei è riuscita ad abbracciare in questi due racconti
“C’è il tema del viaggio, dell'attraversamento e dell'approdo sicuro. Ma anche dell'emozione e del distacco raccontando il momento in cui Olga saluta il suo papà e - scrivo - ‘aspetta che torni a prenderla come un supereroe”.
Si è identificata in una delle due bambine?
“Quello in cui mi sono molto immedesimata è provare a descrivere le emozioni con i colori, che è poi quello che fa Olga mentre scappa dalla campagna e si chiede di quale colore sia il suo ‘sentire’. Lei non comprende perché in fretta e furia se ne stanno andando, e si fa delle domande su quello che prova. Le sue emozioni sono arancioni come il fuoco che stanno attraversando o nere come l’uccello, che ho immaginato per descrivere la guerra? Anche Lisa, seduta sul pullman che la sta portando in Italia, si chiede se sia triste o felice senza comprenderlo. Lo stesso lavoro che io ho fatto su di me quando è scoppiata la guerra. Qual era la mia emozione predominante? La rabbia lo stupore, la paura, la preoccupazione che questa cosa ci tocchi da vicino?”.
Quando ha messo su carta le sue emozioni è svanita la paura?
“Scrivendo il libro mi sono tranquillizzata e senza dubbio ho riordinato le idee. Facendo una piccola suggestione personale, quando il Covid è scoppiato in Cina, io come molti altri siamo stati in qualche modo ingenui, perché mai avrei pensato che potesse arrivare fino a qui. Quando è scoppiata la guerra ho avuto paura di commettere lo stesso errore. Ora le cose, anche guardando la cronaca, sono cambiate, ma all’inizio è stata una cosa dilagante”.
Secondo lei i bambini che hanno l’idea della guerra come di un videogioco, cosa comprenderanno da questa lettura?
“Ho provato a parlare di guerra raccontando una storia a chi non è adulto, e ho inventato queste in cui i bambini sono protagonisti in prima persona. Quello che però accade nella loro vita è che c’è un lieto fine momentaneo con l’approdo in Italia. Inoltre ho sottolineato la loro volontà di tornare nel loro Paese, quindi anche qui non volevo parlare di sradicamento. Ho fatto leggere in anteprima la storia ad una mia cuginetta di 10 anni, lei non si è spaventata per il racconto, ma ho visto che attraverso la lettura ha ‘toccato’ la guerra, perché me lo ha detto. Secondo me è importante non far passare l’idea che si tratta solo di una sorta di favola. Magari un bambino non comprende cosa significa essere colpito da una pallottola, ma il distacco dal papà è comunque un dolore che riesce a comprendere, e quello è legato al conflitto”.
Una cosa curiosa è che una delle bambine, invece di scappare portandosi dietro una bambola, sceglie il gatto. Come mai?
“Ho una particolare sensibilità nei confronti degli animali ed è stato bellissimo vedere che i gatti e i cani venivano portati via dai profughi come parte della famiglia. Questa cosa mi ha commosso molto e ho inserito il gatto che la mamma di Olga mette nel cestino prima di scappare, perché la dimensione degli animali non è stata banale.
Ci sono stati molti articoli che hanno parlato addirittura di persone che non hanno lasciato la zona per non abbandonare le loro bestiole. Anche sotto la metropolitana di Kiev insieme alle persone c’erano gatti e cani portati via in fretta e furia proprio come un componente della famiglia”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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