Festa del cinema: «Room» e «Wolfpack», i segregati e il mondo attraverso i film

All'Auditorium di Roma l'opera di Abrahamson su una giovane donna rinchiusa per 7 anni in una stanza con il figlio e il documentario sulla vera storia dei 7 fratelli Angulo, chiusi in casa dal padre a New York

Due film claustrofobici e la Festa del cinema di Roma riflette su un grande tema: come si vive segregati, fuori dal mondo, quando si conosce il «fuori» solo attraverso la televisione e il cinema?
Ieri all'Auditorium è stata la giornata dell'anteprima di Room, il film di Lenny Abrahamson che racconta la storia di una giovane donna rapita e rinchiusa per 7 anni dal suo carceriere in una stanza e del figlio Jack, che inquella stanza è nato e cresciuto, convinto che oltre quel suo microcosmo, che va da Letto ad Armadio, da Lavandino a Porta sempre chiusa, non esista altro che sogni, uno spazio infinito di fantasie.
Vincitore del Premio del pubblico al recente Festival di Toronto e in uscita nelle sale italiane il 3 marzo prossimo, con Brie Larson, Jacob Tremblay, Joan Allen e William H. Macy, Room è basato sul bestseller di Emma Donoghue.
Estremamente poetico e commovente nella prima parte, eccessivamente lungo e lento nella seconda che indugia sul difficile reinserimento di madre e figlio nel mondo, il film è interessante soprattutto per il modo in cui mostra il piccolo Jack nella dirompente scoperta che quello che vedeva in tv dall'interno della sua stanza non erano solo cose e creature immaginarie ma la realtà.
Stanze dentro altre stanze, porte che si aprono su spazi verdi e blu, persone, tante persone, diverse dalla sua « Mà» e dal rapitore che ha sempre guardato dalle fessure dell'unico armadio.
Il mondo esterno, che Jack ha conosciuto solo attraverso la televisione, si rivela all'improvviso qualcosa di immenso e di meraviglioso tutto da scoprire.
In qualche modo la storia di Room è anche quella raccontata da The Wolfpack, cioè Il branco di lupi, presentato in apertura della sezione «Alice nella città» della Festa del cinema. Il documentario dell'esordiente Crystal Moselle, vincitore del gran premio della giuria al Sundance film festival ideato da Robert Redford, sarà nei cinema dal 22 ottobre e il giorno dopo su Sky.
Qui, al posto di Jack che si prepara alla vita guardando la televisione, ci sono i 7 fratelli Angulo segregati per 15 anni nella loro casa di New York dal padre Oscar, originario del Perù, ossessionato dalla filosofia Hare Krishna e dall'idea che la società della Grande Mela corrompesse i suoi figli.
La storia, anche se incredibile, è vera e due dei ragazzi, Govinda e Narayana ( i nomi imposti dal genitore ai sei maschi e all'unica femmina sono tutti in sanscrito), sono venuti al Roma a raccontarla anche di persona.«Grazie ai film la nostra vita non è stata noiosa», dicono.
Autodidatti con l'aiuto della madre exhippie Susanne, si nutrono di cinema attraverso centinaia di cassette VHS e DVD, imparando a memoria e recitando ogni battuta di migliaia di film di Tarantino, Scorsese, Linch, ma anche Visconti e Fellini, riproducendo scene ed effetti.
Un cinema che li salva, perchè dà loro il coraggio finalmente di trasgredire agli ordini e superare la soglia di casa, approfittando dell'assenza del padre-padrone. E lo fanno vestendo i panni dei loro eroi cinematografici. Il primo è Mukunda, che fugge indossando la maschera di Michael Myers, della saga horror Halloween. Ma quando la regista Moselle li incontra per strada sono in sei, tutti identici a «Le Iene» di Quentin Tarantino, con gli occhiali scuri come i vestiti neri e i lunghi capelli corvini.

É questo che la colpisce, l'incuriosisce e pian piano la convince a conquistarsi la loro fiducia ed entrare addirittura nella loro casa, dove girerà per 5 anni il suo film d'esordio, convincendo anche la madre Suzanne e addirittura il padre Oscar a dire la loro.

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