Siamo intorno al 60 a.C. e Giulio Cesare si trova in Spagna. La congiura di Catilina ha da poco sconvolto Roma e il futuro imperatore sta cercando di costruire il proprio domani. Non può sapere cosa accadrà nel giro di pochi anni. Non può sapere che arriverà a stravolgere la storia di Roma e del mondo. Ora può solo sperare e desiderare. Un aneddoto, raccontato da Plutarco, può aiutarci a comprendere meglio l’animo di Cesare: “In un momento di riposo, si diede a leggere un libro sulle imprese di Alessandro, e per parecchio tempo rimase concentrato in se stesso, poi anche pianse; gli amici, colpiti, gliene chiesero il motivo, ed egli: ‘Non vi pare che valga la pena di addolorarsi se Alessandro alla mia età già regnava su tante persone, mentre io non ho ancora fatto nulla di notevole?’”. Questo era Cesare. Ma questo, soprattutto, era Alessandro.
Alessandro non era un uomo qualunque. Lo si capiva dagli occhi, uno azzurro e uno marrone, e dal suo temperamento, sempre pronto a dominare. Scrutava il cielo, inclinando il collo a sinistra e pareva interessato più agli auspici che alla terra. Non era bello. Secondo il racconto fornitoci dagli storici era piuttosto basso e tozzo, ma i suoi occhi sapevano penetrarti l’animo e indicavano un destino già segnato e plasmato da sua madre Olimpiade: annientare l’impero persiano. Plutarco ce lo descrive come impulsivo e con un cuore ardente, paragonabile alle regioni più torride della terra, “dove cresce la maggior quantità e la migliore qualità di aromi”. E proprio di aromi e profumi Alessandro amava cospargersi il capo e il corpo.
Ma non solo. Amava leggere e grazie alla lettura plasmò il proprio destino, come scrive Pietro Citati nel suo Alessandro Magno (Adelphi): “Egli volle imitare qualcosa che era stato, e che molti credevano morto. Con tutta la forza della passione, pose davanti agli occhi della sua mente una moltitudine di figure divine ed eroiche, e cercò di risuscitarle e di reincarnarle nella propria vita. Il suo tentativo non fu né il primo né l’ultimo, poiché tutta l’antichità classica e cristiana visse di imitazione, ma non era mai stato condotto con tale ardore e tanta grandiosa grandezza”.
I suoi modelli erano quattro: Dioniso, Ercole, Achille e Ciro il grande di Persia. Da tutti apprese qualcosa. Tutti cercò di imitare. Sua madre Olimpia lo aveva iniziato ai banchetti e alle orge. Al rapimento e all’estasi. “Da Dioniso – scrive Citati – Alessandro prese l’estrema mobilità, che lo trasformò in un re vagabondo, la cui vera reggia era una tenda: il desiderio e l’ansia di superare ogni limite, e quella furia di lacerazione, che ogni tanto irrompeva terribilmente nella sua vita”. Da Achille, Alessandro apprese due passioni – l’ira funesta e l’amicizia più disinteressata – e da Ercole, suo leggendario avo, la capacità “di sopportare con ostinata pazienza tutti i dolori del mondo; le sofferenze rapide e violente della guerra, e le sofferenze interminabili della fame, della sete, della fatica e della disperazione”. E infine Ciro, l’unico modello non greco di Alessandro. Da lui apprese “la liberalità verso le tradizioni e le religioni dei popoli dominati. Non conobbe né vincitori né vinti: né persiani né macedoni né greci né barbari; ma solo dei sudditi, che possedevano eguali diritti”.
Alessandro visse solamente 33 anni. Fu una fiamma sulla terra. Ma del resto non poteva essere altrimenti.
Sua madre Olimpiade racconta che, prima di concepirlo, sognò un fulmine che le cadeva nel grembo, “e di lì scaturiva un fuoco ardentissimo, che lanciava fiamme verso ogni parte dell’orizzonte, e poi si spegneva”. E così fece per tutta la sua vita Alessandro: visse ardendo e bruciando in ogni luogo. Fino a spegnersi con un soffio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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