Fin dai primi del '900 figurazione e astrazione sono dunque esperienze coeve. Ma quale preferire allora? Quale forma oggi possiamo ritenere più contemporanea? E soprattutto, la pittura figurativa è ancora in grado di esprimere il senso del presente in un secolo, il XXI, iniziato da oltre vent'anni, che sembra privilegiare altri linguaggi?
Noi dobbiamo sempre considerare la pittura non soltanto come esercizio stilistico dell'abilità dell'artista, ma anche come qualcosa che origina dalla sua testa, dal suo pensiero, dalla capacità di sintetizzare concetti nelle immagini. De Chirico, nonostante sia scomparso ormai da diversi decenni, è ancora estremamente attuale nel modo di fare pittura, proprio perché prevalentemente mentale.
Durante il Ventennio il fascismo vive nell'arte espressioni contraddittorie: da una parte la necessità di progettare una propria modernità, dall'altra la difesa dei valori tradizionali. Tra gli artisti più impegnati a collaborare con il regime c'è Mario Sironi che, dopo la quasi ovvia esperienza futurista, si dedica a diversi cicli murari, come quello dell'Università La Sapienza di Roma nel 1935, inclini a sposare la poetica propagandistica del fascismo, grandi opere che affrontano il mito dell'Impero romano, dell'eroe guerriero, dell'uomo forte che Sironi realizza consapevole degli obblighi verso la committenza ma senza rinunciare al proprio stile, che ne fa comunque un grande dell'arte italiana.
Uno dei ruoli più importanti nell'arte degli anni Venti e inizio Trenta è stato appannaggio di una donna e questa è davvero una rarità, visti i numerosi ostacoli alla partecipazione femminile nella vita culturale del Paese. Margherita Sarfatti, storica, critica d'arte, nata a Venezia e trasferitasi a Milano, apre un vero e proprio cenacolo di artisti e intellettuali in corso Venezia dove, tra gli altri, veniva a trovarla il giovane Benito Mussolini, ancora legato al Partito Socialista, direttore dell'Avanti!, che presto diventerà suo amante. Al gruppo della Sarfatti si unirono anche gli scultori Medardo Rosso e Arturo Martini. Il cuore della ricerca portata avanti da questa cerchia sta però nella pittura figurativa, nella corrente che proprio la Sarfatti denomina «Novecento», in senso provocatoriamente antimoderno, con lo sguardo ai valori della tradizione, addirittura alla pittura pre-rinascimentale, primitiva e giottesca, a quel modello di classicità che gli italiani hanno diffuso nel mondo nei secoli passati. Diversi pittori si radunano attorno a lei: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Pietro Marussig, Emilio Malerba, lo stesso Mario Sironi.
In un certo senso le dittature impongono una sorta di contro avanguardia nella storia dell'arte, i cui adepti sono accomunati dalla volontà di un ritorno al classicismo e dalla preconcetta ostilità verso le avanguardie sperimentali. Margherita Sarfatti ha idee molto chiare e precise, e finché rimane in Italia si fa promotrice degli artisti italiani all'estero: espone a Parigi, Londra e in Sudamerica, dove si rifugerà dal 1938 con la promulgazione delle leggi razziali, quando Mussolini le toglierà ogni tipo di protezione, essendo di origine ebraica. La figurazione, proprio come il Futurismo, si dipana in diverse scuole regionali, a cominciare dai Sei di Torino, cinque uomini e una donna Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci legati all'ambiente accademico di Felice Casorati, uno dei vertici della pittura in Italia, che sfiora le tematiche del Realismo magico e studia i classici come Piero della Francesca. A Roma sorge invece la Scuola di via Cavour, cui partecipano Scipione, Mario Mafai, Antonietta Raphaël, Giuseppe Capogrossi e Fausto Pirandello, pittori che amano una figurazione quasi barocca, molto tradizionale e ricca.
È dunque possibile che il '900, inteso come secolo, dopo Dada e Futurismo, si sia ripiegato così tanto su se stesso? In realtà no, perché in maniera appunto contraddittoria il regime sceglie di affidare soprattutto all'architettura la parte più progressiva della propria ricerca. Giuseppe Terragni, Adalberto Libera, Giuseppe Pagano pensano in termini di moderno razionalismo, guardano al Nord Europa, per uno stile che è forse l'ultimo grande progetto urbanistico-architettonico delle nostre città, legato a un periodo storico tanto immediatamente identificabile.
Il dibattito tra figurativo e astratto non si esaurisce certo in Italia né in questi anni. In particolare gira intorno a un evento storico drammatico: nell'aprile del 1937 l'aviazione nazista in appoggio ai franchisti bombarda Guernica, un piccolo paese della provincia basca, abitato in quel momento in prevalenza da donne, bambini e anziani, perché gli uomini adulti erano a combattere al fronte per la guerra civile spagnola. Il massacro provoca una rivoluzione nella coscienza di Pablo Picasso che nel 1937 ha 56 anni e risulta la voce più autorevole che si può alzare rispetto a questo delitto contro l'umanità. Picasso aveva in mente di realizzare una grande tela dedicata a una delle sue passioni, la minotauromachia, un gigantesco quadro pensato per mitizzare il suo essere spagnolo e il suo legame con le tradizioni culturali del proprio Paese. Aveva infatti realizzato una serie di incisioni preparatorie, ma il bombardamento di Guernica cambia improvvisamente le carte in tavola: Picasso si mette a lavoro per un quadro che fa la storia, il quadro più importante del '900, in cui toglie, nonostante la sua proverbiale aggressività cromatica, il colore, lasciando soltanto il bianco, il nero, ma soprattutto il grigio: 7 metri di base per 3,5 di altezza, Guernica diventerà il manifesto della necessità di un impegno politico e sociale dell'artista, che non può più far finta di niente di fronte alle tragedie della storia ed è chiamato a esprimersi.
Leggenda narra che Picasso, nella Parigi occupata dove viveva, avesse ricevuto la visita di alcuni gerarchi nazisti che, indicando una fotografia di Guernica, in maniera provocatoria gli chiesero se ne fosse lui l'autore. Sagace la risposta di un uomo che non temeva davvero nulla: «Non l'ho fatto io, l'avete fatto voi». Esposto ora al Reina Sofía di Madrid, è potuto tornare in Spagna solo alla fine del franchismo, dopo essere stato ospitato per anni al MoMA di New York. Guernica è fondamentale dal punto di vista simbolico: all'interno infatti vi ritroviamo una serie di figure e immagini tipiche del repertorio picassiano: la donna che grida, il cavallo ferito, la luce, la colomba che prova a spiccare il volo, il toro, le persone a terra.
Ed è tra le opere più interpretate e analizzate nel corso della storia dell'arte del '900. Teorici del calibro di Rudolf Arnheim e Giulio Carlo Argan si sono misurati sulla potenza di un soggetto che segna il ruolo dell'artista nel suo tempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.