Filippo Vitta Zelman, l’evoluzione della comunicazione culturale, da Tiziano ad Avedon

Filippo Vitta Zelman, direttore generale di Skira editore, racconta l'evoluzione della comunicazione dell'arte nel nostro Paese, partendo dall'ultima meravigliosa mostra del fotografo Richard Avedon

Filippo Vitta Zelman, l’evoluzione della comunicazione culturale, da Tiziano ad Avedon

Fare cultura nel nostro Paese è qualcosa di sempre più complicato. Non solo per il post pandemia, ma anche per la velocità con cui cambia la comunicazione, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Non a caso alcuni eventi, come la mostra Richard Avedon: Relationships a Palazzo Reale a Milano fino al 29 gennaio sono uno degli esempi perfetti di come si sia evoluto trasversalmente il modo di proporre arte e cultura, raggiungendo età e target molto diversi.

Dietro tutto questo c’è un enorme lavoro, fatto di grande esperienza e conoscenza dei nuovi mezzi di divulgazione. Un lavoro che non si limita soltanto all’importanza dell’artista che viene proposto, ma alla modalità di renderlo empatico e fruibile a tutti. Proprio sull’evoluzione della comunicazione dell’arte, abbiamo parlato con Filippo Vitta Zelman direttore generale di Skira editore una società culturalmente inclusiva, che si occupa non soltanto della pubblicazione di importanti volumi e della gestione di concessioni museali, ma anche di promuovere cultura attraverso progettazione e produzione di grandi mostre d’arte. Una diffusone della “bellezza dell’anima” a 360 gradi, fruibile non solo da chi si nutre naturalmente, per istruzione o indole, di arte, ma anche da chi ha bisogno di stimoli particolari per approcciarvisi.

Partirei proprio dal successo della mostra di Avedon a Palazzo Reale, che è riuscita nell’intento di avvicinare un pubblico variegato, fatto anche di molti giovani.

“Il successo di questa mostra è dato proprio dal fatto che si sono incastrati tutti i pezzi di un puzzle perfetto. La figura mitica di Richard Avedon e il suo rapporto con Milano, l’autorevole supervisione della fondazione Avedon, le spettacolari fotografie iconiche prestate dal Center for Creative Photography di Tucson: Chi non conosce gli stupendi scatti di Dovima con gli elefanti o di Nastassja Kinski con il serpente, scelta non a caso come immagine guida della mostra? La location di Palazzo Reale, la coincidenza con l’apertura della settimana della moda, il patrocino della Camera della Moda, Vogue Italia come media partner ma soprattutto la collaborazione strategica con Versace, già partner e main sponsor della precedente mostra nel 1995, sempre a Palazzo Reale di Milano. Con loro è nato un intenso rapporto di collaborazione, che ha travalicato il puro ruolo dello sponsor, rendendolo un vero e proprio partner dell’iniziativa. A dimostrazione di questo, all’interno della mostra c’è una sezione dedicata che presenta alcune importanti foto che raccontano la collaborazione tra il fotografo e la maisòn. Uno spazio con immagini e proiezioni di interviste a Gianni e Donatella Versace, che raccontano non solo il loro rapporto con il fotografo, ma anche lo spaccato di un’epoca".

Che tipo di lavoro di comunicazione è stato fatto per un evento così?

“Abbiamo cercato, proprio per avvicinare anche il pubblico più giovane e quello della moda, di investire molto di più sul digitale, rispetto a quanto facciamo abitualmente. Abbiamo mantenuto tutte le campagne di comunicazione outdoor (grandi affissioni, tram, autobus, metrò, centri commerciali), decidendo però di dare una spinta molto forte sul digitale, grazie al supporto dalla società specializzata Alaska Idea che si è occupata della realizzazione e gestione di tutti i contenuti. Il risultato è stato immediato; solo dopo una settimana dall’apertura della mostra, abbiamo avuto oltre il 40% dei biglietti venduti tramite l’online. Una percentuale molto più alta di quella che vediamo di solito e che appartiene per cultura e generazione ad un pubblico più giovane”.

Lei è un figlio d’arte, che ha ereditato da suo padre Massimo Vitta Zelman, la direzione della casa editrice Skira, che appartiene alla vostra famiglia da quasi 30 anni. Come è riuscito a non snaturare le idee nel dna dell’azienda, ma allo stesso modo a farla evolvere in maniera attuale?

“Difendendo la tradizione ma non rimanendo ancorati obbligatoriamente a radici e modus operandi che appartengono al passato. Non si parla di snaturare il dna della casa editrice, quello non accadrà mai. È la chiave con cui abbiamo aperto le porte dell’eccellenza e del prestigio che ci ha portato sino a qui. Nello stesso tempo, il territorio che ci riguarda non è più soltanto quello delle arti figurative ma di tutto ciò che può essere visivamente rappresentato e documentato ad alto livello. Editorialmente questo significa affiancare a grandi monografie e cataloghi generali, straordinarie testimonianze di storie d’impresa e di marchi d’eccellenza, con particolare attenzione per i grandi protagonisti del made in Italy in tutti i campi, dalla moda al design, dall’automotive al food&beverage (non a caso Skira è l’unica sigla editoriale presente nell’associazione Altagamma che raggruppa i grandi marchi del paese). C’è poi il grande mondo delle mostre che ci vede non solo editori e librai di molti dei grandi eventi, ma anche progettisti e produttori. Qui la scommessa è anche l’utilizzo delle più moderne tecnologie tanto in chiave realizzativa che in termini di comunicazione. Sono già disponibili contenuti interattivi che integrano perfettamente le proposte tradizionali".

Parlando invece del prossimo futuro?

“In testa alle nostre priorità c’è l’internazionalizzazione ancora più spinta delle nostre attività come il marchio Skira da sempre implica. Che siano libri, servizi museali o mostre, il nostro territorio è il mondo. In questo senso, il nuovo assetto societario e la partnership con un grande gruppo internazionale come Chargeurs, apre orizzonti amplissimi.Guardando al futuro immediato, sono diverse le importanti iniziative in cantiere: da una grande rassegna espositiva sull’arte giapponese, alla prima grande mostra di Jimmy Nelson in Italia, un fotografo che non mancherà di stupire gli spettatori, a cantieri dedicati ai grandi dell’arte del 900, da Matisse a Dalì. Sono allo studio e in via di definizione progetti di mostre immersive di altissima qualità, dove sono tecnologia, innovazione e allestimenti scenici a farne da padroni".

Si dice spesso che la cultura non interessa ai giovani, lei che ha il polso della situazione cosa ne pensa?

“La parola cultura apre un territorio molto vasto. Vedo i giovanissimi che crescono sempre più con lo strumento digitale in mano che li porta ad affezionarsi a mode e tendenze più vicine a loro. Se trattiamo l’argomento da un punto di vista artistico, ritengo che ci sia un forte e crescente interesse per l’arte contemporanea, dalle star assolute come Yayoi Kusama, Jeff Koons, Damien Hirst, Bansky o Maurizio Cattelan ad artisti meno noti che più facilmente ornano con le loro opere le pareti delle nostre case. Il termometro delle mostre ci conferma invece che la percentuale si alza quando trattiamo le icone dell’arte moderna del XIX e XX secolo e si abbassa con i grandi maestri del passato. Usciamo ora dalla bolla degli NFT e dell’arte digitale, dove nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad una diminuzione delle vendite del 60% e dove non è ancora chiaro il futuro che ci attende. Un mondo che ha avvicinato moltissimi giovani in questi ultimi due anni di boom, più per aspetti speculativi che di gusto personale. La parte triste di un mondo in evoluzione che a mio avviso e per fortuna, non riuscirà mai a piegare le colonne portanti del mondo dell’arte tradizionale".

Non investirebbe in questo settore?

“Per il momento no ma preannuncio che abbiamo allo studio un nuovo progetto di Blockchain dell’arte da mettere al servizio di artisti, archivi, estates e fondazioni"

Cosa non la convince?

“Il mare magnum in cui opere e artisti di qualità si confondono con tutto il resto del mercato. Il fatto che si compra o forse comprava, nella maggior parte dei casi, in ottica di investimento. Bellezza e qualità artistica spesso non vengono prese in considerazione. Apprezzo invece i nuovi artisti digitali che lavorano sull’ immersività e l’interattività. Che creano ambiente astratti, onirici e sognanti attraverso algoritmi di apprendimento automatico".

Avedon è tra l’altro un esempio di mostra molto social, questo aiuta la diffusione dell’arte?

“Prendendo spunto dalla mitica mirror room di Yayoi Kusama, abbiamo allestito una sala della mostra con numerose copertine di Vogue che si duplicano all’infinito attraverso un incredibile gioco di specchi. L’ instagrammabilità di questa sezione e le numerose condivisioni di foto sui profili social dei nostri visitatori hanno certamente contribuito a rendere ancora più noto il progetto. Sono strumenti che da una parte ci aiutano a parlare con il nostro pubblico mettendoli a conoscenza di ciò che stiamo facendo, dall’altra provano a far breccia su un target difficilmente raggiungibile attraverso i più comuni metodi di comunicazione tradizionale".

La Skira è sicuramente un esempio un circolo virtuoso a 360 gradi di cultura, ma cosa servirebbe per incrementare ancora di più la diffusione dell’arte nel nostro Paese.

“Comincerei dal dare all’arte uno spazio più rilevante nella scuola e nell’insegnamento in genere. E un maggiore impegno nella promozione e valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale di cui il nostro paese dispone.

Un maggiore supporto istituzionale all’azione di noi, produttori privati, anche dal punto di vista economico, renderebbe più semplice lavorare a quei grandi progetti che hanno un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura artistica e che comportano relazioni internazionali di alto profilo e un elevato rischio di impresa".

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