La forza del mito Sermonti rilegge Ovidio

N on possiamo lamentarci della immutabilità di un modello sociale decadente e poi riprodurne totalmente il dispositivo distruttivo anche nei aspetti più residuali della quotidianità. Quando perciò Vittorio Sermonti dice che la letteratura classica ha da suggerirci qualche cosa di essenziale per i nostri ritmi primari non solo ha profondamente ragione ma ci invita a fare un passo rivoluzionario.
Sermonti non è nuovo ad avventure che per la maggioranza distratta possono rappresentare delle astrusità, dei vezzi coltivati quasi per marcare una sorta di snobistica distanza. Se pensiamo al suo impegno con la Divina Commedia che ha avuto il tratto naturale del rigore di contro alla leggerezza del neodivulgatore Benigni («Il suo modo di attualizzare Dante è divertente ma non si possono dire spiritosaggini e cose un po' ovvie per adescare il pubblico») abbiamo chiaro di cosa e di chi stiamo parlando.
Ora ci riprova con Le metamorfosi di Ovidio (Rizzoli, pagg. 846, euro 21). La corposità di quest'opera potrebbe creare ansia anche al lettore più accorto. In effetti, in un contesto sempre più artificiale e impalpabile come quello attuale, che senso avrebbe riproporre le vicende di circa 250 miti? Che motivo avremmo per sentir parlare di Narciso consumato dall'amore di sé, di Dafne, Apollo e Aracne? Oppure, perché perderci fra migliaia di esametri quando invece possiamo esaltarci per un rapido tweet?
In realtà, i motivi sono più d'uno, e fanno riferimento a quella coazione a ripetere che ci fa dare accoglienza ai disastri e alla bruttezza. In primo luogo, il mortificante automatismo che sembra uniformare la nostra quotidianità viene qui smembrato e riordinato da motivazioni di ordine superiore attraverso lo strumento delle metamorfosi. C'è poi la potenza del mito che ci fa accettare delle regole senza subirle perché la funzione degli archetipi è totalizzante ma non totalitaria. Ed infine c'è lo strumento catartico della poesia, grazie alla quale oltrepassiamo il muro del tempo e della materialità. E non è un caso se molti filosofi della crisi da Martin Heidegger in poi hanno avuto come costante riferimento Friedrich Hölderlin.


L'operazione che ci viene quindi riproposta da Sermonti attraverso Ovidio è proprio quella di rievocare il mito, ricreandolo e attualizzandolo. Celebrandolo artisticamente ma assimilandolo al nostro presente, quale presupposto per una nuova creazione.

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