Fred Hersch e Pat Martino storie di musicisti «risorti»

Entrambi colpiti da una grave malattia, avevano dimenticato come suonare piano e chitarra. Hanno ricominciato da zero e ora incidono nuovi dischi

Nel jazz attuale ci sono due grandi musicisti dei quali si può dire, parafrasando il titolo di un vecchio film, che sono vissuti due volte. Due vicende molto simili, parallele e quasi surreali. Sono quelle del pianista Fred Hersch, il cui pieno ritorno alla vita e alla musica è recente e ancora poco noto in Europa, e del chitarrista Pat Martino che risale ad alcuni anni fa.

Sembra giusto cominciare da Hersch per contribuire comunque alla conoscenza del caso. Il pianista e compositore di Cincinnati, Ohio, dov'è nato nel 1955, ha contratto nel Duemila una malattia che si è aggravata anno dopo anno e gli ha causato conseguenze drammatiche culminate nel 2008: due volte in fin di vita, tre mesi di coma, isolamento fisico e mentale e altri guai ancora. Ma grazie alle tenaci cure dei medici, scrive il giornalista musicale David Hajdu sul New York Times , «adesso Frederic Hersch è ricuperato, ha ritrovato il ricordo del passato e ha tenuto un concerto trionfale allo Iowa City Jazz Festival che si può ascoltare interamente sul web. Inoltre ha pubblicato due nuovi cd, i dischi della rinascita». Il più recente, realizzato in trio con l'etichetta Palmetto, si intitola Floating . Per l'Italia è un album d'importazione che è possibile reperire nei negozi migliori.

La personalità di Hersch merita qualche altra informazione. Ha compiuto fin da giovanissimo studi molto severi nel Conservatorio della città natale, orientandosi verso la musica accademica. Ma dopo il diploma si è innamorato del jazz e si è perfezionato presso il New England Conservatory di Boston dove insegnava l'illustre e versatile compositore Gunther Schuller, forte sostenitore dell'unicità della buona musica di qualsiasi provenienza. Trasferitosi a New York, ha lavorato in proprio ed è stato conteso dai più grandi maestri della musica afro-americana, malgrado il suo singolare understatement che lo ha danneggiato non poco.

Pat Martino, vero nome Patrick Azzara (Philadelphia 1944), figlio di un chitarrista e cantante di jazz di origine italiana, segue le orme del padre e a sedici anni è già chitarrista professionista.

Si fa apprezzare per la cura formale, la tecnica, il senso del ritmo e la velocità di esecuzione quando occorre. Incide dischi, nella seconda metà degli anni settanta sembra avviato a una carriera vertiginosa e allarga l'orizzonte dei suoi interessi: studia la musica classica, si appassiona alla cultura indiana, impara a servirsi dei primi sintetizzatori sfruttandone i timbri e le possibilità ritmiche. Ma nel 1980 gli viene diagnosticato un aneurisma cerebrale. L'operazione riesce ma il paziente perde la memoria. Non ricorda più nemmeno di essere un chitarrista, un grande chitarrista.

Qui comincia un assiduo e lunghissimo lavoro di ricupero inventato da chi gli vuole bene, gli anziani genitori e gli amici. In ogni angolo della casa gli fanno trovare una chitarra in modo che Pat la veda, ne provi il suono e qualcosa si riaccenda nel suo cervello. Lentamente accade il miracolo. Pat riparte da zero, studia, apprende di nuovo la tecnica, fa progressi. Chissà, forse sono le sue mani che ricordano, mandano impulsi al cervello, li ricevono di ritorno. Prova infine a esibirsi in un piccolo club. Il pubblico, nel frattempo, lo ha dimenticato.

Tutte queste cose me le conferma lui durante un'intervista. Pat è piccolo, minuto e gentile, con un'inconfondibile luce mediterranea negli occhi scuri. Dice: «Sono un redivivo, lo so, un redivivo che ogni giorno ritrova qualcosa della sua vita passata e dello stile musicale che aveva. Quel malanno è stato un guaio tremendo: il primo album dopo la guarigione l'ho chiamato Return , ritorno.

Ormai i giorni del buio sono alle mie spalle. Voglio suonare, comporre, apprendere cose nuove, scrivere poesie, riprendermi il terreno perduto ed essere felice. Devo essere felice dopo una simile avventura, non crede?».

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